Dopo quasi due mesi di combattimenti, le truppe turche, con gli alleati dell'Esercito libero siriano (Els), sono entrate ad Afrin, capoluogo dell'enclave curda nel nord-ovest della Siria, dal 20 gennaio sotto attacco nell'offensiva di Ankara 'Ramoscello d'ulivo'. Il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, da Ankara ha annunciato che "il centro della città di Afrin è sotto controllo dalle 8.30 di questa mattina". Parlando durante le celebrazioni per il 103esimo anniversario della vittoria di Canakkale, il leader turco ha sottolineato che "la maggioranza dei terroristi sono già fuggiti con la coda fra le gambe, le nostre forze speciali e membri dell'Els stanno ripulendo quelli che restano e le trappole che hanno lasciato dietro di loro".
I curdi: "Continueremo a difenderci"
I combattenti curdi delle Unità di Protezione Popolare (Ypg) hanno inizialmente smentito la notizia della conquista di Afrin, per poi confermare la ritirata dalla città che tuttavia non vuol dire la fine della lotta: questa "continuerà e il popolo curdo continuerà a difendersi", ha affermato su Twitter Salih Muslim, comandante in esilio in Europa.
I soldati turchi e i miliziani alleati sono entrati all'alba ad Afrin da tre fronti senza incontrare resistenza. Bandiere turche e dei ribelli siriani sono state innalzate nel centro della città ed e' stata abbattuta la statua del leader curdo Kawa, simbolo della resistenza contro gli oppressori. Esplosioni di mine si sono udite mentre colonne di fumo si innalzavano sull'abitato.
L'esodo dei civili
Continua intanto l'esodo dei civili che lasciano la città: da mercoledì sono circa 250mila gli abitanti che sono fuggiti verso sud. Secondo l'Osservatorio siriano per i diritti umani, da quando Ankara ha lanciato l'offensiva, sono oltre 280 i civili uccisi e più di 1500 combattenti curdi sono morti, in maggioranza a causa di raid aerei e colpi di artiglieria. Ankara ha riportato la morte di 46 soldati turchi e oltre 400 ribelli filo-turchi.
Secondo l'Osservatorio siriano per i diritti umani, non restano che poche migliaia di abitanti ad Afrin. "Una volta che avremo ripulito questo luogo dai terroristi e lo avremo posto sotto controllo, avanzeremo rapidamente per normalizzare la città, recuperare le infrastrutture e la stabilità", ha affermato il premier turco Bekir Bozdag, sottolineando che "il nostro lavoro non è finito, c'è ancora molto da fare, ma il terrorismo ad Afrin sì: il loro progetto di creare un corridoio per il terrorismo e uno stato terroristico è stato sventato".
La fuga dei civili dai bombardamenti prosegue anche a Ghouta Est, la roccaforte dei ribelli alla periferia di Damasco, dalla quale da giovedì sono state evacuate oltre 50 mila persone. Cifre fornite dall'Osservatorio siriano dei diritti umani, che riferisce anche della caduta delle cittadine di Kfar Batna e Saqba nelle mani del regime siriano, che dal 18 febbraio ha lanciato una pesante offensiva per riconquistare l'area, da oltre 4 anni sotto assedio.Almeno 1.400 civili, tra cui 274 bambini, sono morti sotto gli intensi bombardamenti su Ghouta Est in poco meno di un mese, spingendo il Consiglio di sicurezza dell'Onu ad approvare una tregua umanitaria, applicata a singhiozzo, mentre continuano a cadere le bombe.
I ribelli di Ghouta "pronti ai negoziati"
Finora, il regime di Damasco ha ripreso l'80% dell'enclave, ormai divisa in tre parti. I principali gruppi ribelli - Faylaq al-Rahman, Jaish al-Islam e Ahrar al-Sham, che quotidianamente tirano colpi di mortaio e razzi contro Damasco, solo oggi hanno fatto un morto nella capitale - si sono detti pronti a dei "negoziati diretti" con Mosca sotto egida Onu per raggiungere una tregua. Faylaq al-Rahman, grazie ai suoi 8mila miliziani, controlla la zona sud dell'enclave, da Arbin, a Zamalka, fino a Haezh, Ain Tarma e parte del quartiere di Jobar; a Jaish al-Islam spetta Douma, nel nord, mentre Ahrar al-Sham ha influenza su Harasta nell'ovest.
Proprio oggi il presidente siriano, Bashar al-Assad, ha visitato le truppe sulla linea del fronte a Ghouta est allo scopo di motivarle.