La polizia del Kenya ha arrestato un alto ufficiale del Kenya Wildlife Service (KWS), il servizio parchi, nell'ambito delle indagini sul rapimento della volontaria italiana, Silvia Romano. Lo scrive l'emittente keniana Ntv sul proprio sito.
Questo arresto segue quello di un sergente del KWS, Abdullahi Bille, e di suo fratello, sospettati di legami con i rapitori. Si ritiene che Silvia, rapita il 20 novembre scorso, sia prigioniera nella zona della contea meridionale di Tana Delta, spiega il sito dell'emittente.
L’emittente, tuttavia, non rivela il nome dell’alto ufficiale del servizio parchi del Kenya. In giornate di silenzio sul rapimento della cooperante italiana, questa notizia può essere letta positivamente, anche se non vi sono dettagli sulle motivazioni dell’arresto, perché evidenzia che le indagini delle autorità keniane proseguono - non si sono mai fermate - in maniera serrata e non risparmiano nessuno.
La notizia, inoltre, rivela che i sequestratori, in questi diciannove giorni di sequestro hanno avuto il sostegno, non solo della popolazione, ma anche, con molta probabilità, di funzionari corrotti dello Stato. E, questo, inquieta perché apre scenari sulle possibili ragioni del rapimento.
Il legame tra i sequestratori, la popolazione e i funzionari
Di certo l’arresto di ieri rileva che lo scopo del rapimento è stato a scopo di estorsione, che i rapitori sono criminali comuni, che il sequestro non è stato improvvisato e, soprattutto, che esistono legami tra i rapitori e la popolazione locali e, probabilmente, con funzionari statali corrotti.
Questi arresti fanno pensare, inoltre, che i sequestratori, forse – inizialmente pensavano a un rapimento lampo - hanno fatto un salto di qualità. Da subito è stato chiaro che si trattava di una banda di criminali che pretendevano soldi subito. Non è un caso che nel momento del rapimento a Silvia sia stato chiesto il telefonino per poter trasferire, nell’immediato, i soldi da loro pretesi.
In Kenya il trasferimento di denaro, così come i pagamenti anche più minuti, avvengano attraverso il servizio MPESA, gestito dalla compagnia telefonica Safaricom.
Attraverso questo sistema si possono fare pagamenti minuti, ma anche trasferimenti di molti soldi e in più transazioni. In Kenya è normale. I sequestratori però non potevano sapere che Silvia non aveva con se il telefonino e, probabilmente, anche se lo avesse avuto, non aveva i soldi che i rapitori avrebbero potuto pretendere.
Un primo intoppo. Poi è iniziata la trattativa con le forze di polizia keniana. Il nodo, infatti, sembra essere la cifra del riscatto. E le pretese dei sequestratori si sono alzate, visto il clamore e la rilevanza mediatica che la vicenda ha suscitato. L’emittente keniana Ntv, inoltre, spiega che Silvia Romano sarebbe tenuta prigioniera nella contea meridionale di Tana Delda. Qui i rapitori potrebbero aver trovato un rifugio sicuro da dove trattare con tranquillità, magari con l’appoggio di qualche funzionario corrotto, con il quale spartirsi il bottino.