Le notizie sul rapimento di Silvia Romano, che arrivano dal Kenya, sembrano essere contraddittorie. Sono di ieri le dichiarazioni di un funzionario della polizia Bernard Leparmarai che spiega, secondo quanto riporta il Nation, giornale keniano, che l’operazione, di ricerca della cooperante italiana, “è stata ostacolata dalle condizioni meteo avverse e dalla rete stradale", ma non solo. "Non posso fare ulteriori commenti sulle indagini – spiega Leparmarai - Lasciamo che la polizia faccia il proprio lavoro. Continuiamo a pensare che i rapitori siano criminali dediti all'estorsione, che potrebbero pensare di vendere" la ragazza "ai terroristi di al-Shabaab".
Il giornale, inoltre, ritiene che Silvia sia stata portata dai sequestratori nella foresta di Boni, a nord del fiume Tana, 1350 chilometri quadrati di foresta, un ginepraio dove si nascondono tutti, gruppi di terroristi legati ad al Shabaab, indipendentisti della costa, criminali comuni. Un’area vasta dove opera anche l’esercito keniano che cerca di impedire, proprio ai terroristi somali, di organizzarsi e infiltrarsi a sud del fiume Tana. Questa, tuttavia, sembra essere solo una congettura del Nation non suffragata da fatti concreti. L’emittente keniana Ntv sostiene, facendo riferimento a sue fonti, che la cooperante italiana sarebbe tenuta prigioniera nella contea meridionale di Tana Delta. Anche questa è solo una congettura dell’emittente televisiva. Nessuno può dire con certezza dove si trovi effettivamente la giovane italiana.
Silvia Costanza Romano (Profilo Facebook)
Nel rapimento della cooperante italiana in Kenya, Silvia Romano, abbiamo voluto analizzare come la stampa keniana ha raccontato la vicenda. Da subito, cioè del 20 novembre, hanno raccontato con particolari e analisi che hanno dimostrato una capacità di lettura delle notizie che arrivavano dalle autorità locali, inquadrandole nel contesto in cui avvenivano. “I media del Kenya non hanno raccontato male la vicenda del rapimento”, ci racconta Bruna Sironi, collaboratrice di Nigrizia, che abbiamo raggiunto a Nairobi, capitale del Kenya, dove vive da quattro anni. A dimostrazione della conoscenza del territorio non “hanno mai parlato – ci dice la Sironi – di azione terroristica” per mano dei miliziani somali di al Shabaab, “perché conoscono bene dove è avvenuto il rapimento”. Non solo, prosegue la collaboratrice di Nigrizia, hanno “subito parlato dell’etnia di pastori Orma, che parlano somalo e girano armati”.
Un dato controverso, nel racconto dei primi giorni del sequestro di Silvia Romano, è stato il fatto che i rapitori avessero preteso un riscatto immediato utilizzando il telefonino della giovane italiana. “Da subito, per i media keniani, è stato chiaro che si trattava di una banda di criminali che volevano soldi. Per questo hanno chiesto alla ragazza il telefonino che lei, però, ha lasciato in camera. Tutto ciò è plausibile, perché in Kenya è molto diffuso il sistema di pagamento e trasferimento di soldi attraverso MPESA, gestita dalla compagnia telefonica Safaricom. Questo sistema è molto diffuso e la gente è abituata a muovere denaro attraverso questo sistema. Non solo piccoli pagamenti, ma anche trasferimenti di molto denaro attraverso, anche, più transazioni”.
Silvia Costanza Romano (Profilo Facebook)
A suffragare questa ipotesi, come hanno raccontato i giornali del Kenya, “alcuni rapitori – prosegue la Sironi – quando hanno capito che il telefonino non c’era, volevano rilasciare la ragazza, altri invece no”. I media del paese africano, inoltre, hanno raccontato che le autorità keniane “la polizia, l’esercito e le forze di sicurezza si sono mosse con tempestività e anche efficienza “. Da subito, cosi come hanno raccontato i giornali, si “è capito che la ragazza era benvoluta dalla comunità del villaggio. In cinque si sono fatti sparare nel tentativo di liberarla e sottrarla ai sequestratori. Tutto ciò è dimostrato dal fatto che, pochi giorni fa, musulmani e cristiani hanno organizzato un momento di preghiera comune per la liberazione” della giovane italiana.
Anche per la stampa, però, a partire dal 30 novembre - giorno nel quale sembrava imminente la liberazione di Silvia – ha cominciato a osservare il “silenzio”. I due giornali più importanti del paese, il Daily Nation e The Standard, non hanno pubblicato più nulla. Fino a ieri, quando le notizie apparivano essere solo congetture. Un silenzio, tuttavia, non gradito dalla comunità locale “che si lamenta – conclude la Sironi – perché la polizia non sta dando informazioni. La gente del luogo vorrebbe che il caso fosse già risolto, per il bene di Silvia e, anche – inutile negarlo - perché i leader locali sono preoccupati per le ripercussioni sull’economia dell’area”.