Dopo lo scoppio del caso Cambridge Analytica che ha coinvolto Facebook, per giorni il mondo si è chiesto che fine avesse fatto Mark Zuckerberg. Un silenzio assordante il suo, rotto da un post pubblicato sul social network solo 5 giorni dopo.
Ma c’è un altro pesantissimo silenzio: quello del suo braccio destro Sheryl Sandberg, l’architetto della strategia di marketing e di annunci pubblicitari su cui si basa il social network. E per il quale oggi il social si ritrova immerso nel fango fino al collo, dopo che la stampa ha pubblicato una serie di articoli che dimostrano l’uso scorretto di un’enorme quantità di dati prelevati da Facebook, da parte dell’azienda di consulenza e marketing online Cambridge Analytica.
“E’ il momento di ‘farsi avanti’”
“E’ significativo che Sandberg non si sia sottoposta al pubblico esame visto che è percepita come “l’adulto” assunto dalla società per gestire questo tipo di situazioni in modo saggio”, ha detto al Guardian Kara Alaimo, professore di relazioni pubbliche alla Hofstra University. “Ora che è emerso il lato oscuro del successo (del social network, ndr), è necessario che faccia di più nell’assumersi le responsabilità delle decisioni che ha preso”, ha commentato Roger McNamee, venture capitalist che una decina di anni fa suggerì a Zuckerberg di assumere Sandberg, strappandola a Google. “Non si sta affatto “facendo avanti”, ha detto citando il titolo del libro “Facciamoci avanti - Le donne, il lavoro e la voglia di riuscire” (titolo originale “Lean in”), pubblicato nel 2013. “Semmai ci fosse un momento giusto per farsi avanti, beh è questo”.
Le (poche) dichiarazioni alla Cnbc
Dallo scoppio dello scandalo, Sheryl Sandberg qualcosa lo ha detto. Poco. Ha rilasciato alcune dichiarazioni alla Cnbc e ha condiviso i post di Zuckerberg. “E’ un enorme problema di fiducia”, ha detto la donna alla giornalista Julia Boorstin. “La gente si collega su Facebook ogni giorno e tocca a noi proteggere I loro dati. Sono molto dispiaciuta di averli delusi”. Dietro le quinte. Sandberg non è rimasta certo a guardare. Secondo il Guardian la mente del sistema di advertising è in continuo contatto con politici e pubblicitari per trovare una soluzione e riparare il danno. Per alcuni, invece, non essendo il Ceo, non spetta a lei intervenire su una questione così delicata.
Chi è Sheryl Sandberg
Nata a Miami nel 1969 da una famiglia ebrea, Sheryl Kara Sandberg si laurea nel 1991 in economia ad Harvard e conosce quello che poi diventerà il suo mentore: il professor Larry Summers, con cui scrive la tesi.
Nel 1995 Sheryl ottiene il massimo dei voti in un MBA alla Harvard Business School. La carriera prende il volo. Fino al 2001 lavora al Dipartimento del Tesoro statunitense, sotto la presidenza di Clinton, come capo di gabinetto. Nel 2008 Sandberg è Vice President of Global Online Sales and Operations a Google quando accetta la proposta di Mark Zuckerberg di entrare nella società con una missione: fare soldi.
Secondo una ricostruzione del New Yorker, i due si incontrano per circa un mese e mezzo a pranzo una o due volte a settimana. "Era come se avessero un appuntamento romantico" raccontava all’epoca Dave Goldberg, marito della Sandberg e CEO di SurveyMonkey, morto nel 2015 in seguito a una caduta dal tapis roulant.
Alla fine le insistenze di Zuckerberg hanno la meglio sulla società di Mountain View: la Sandberg capitola. Non prima, però, di aver proposto a Eric Schmidt, al tempo CEO di Google, di promuoverla chief operating officer, ma a Google c'è già un comitato centrale formato dai due fondatori e Schmidt, e nessuno vuole allargare il circolo.
Quel ruolo Sheryl lo ottiene in Facebook dove diventa il braccio destro di Zuckerberg ma viene criticata duramente da Google per aver assunto molti dei suoi ex colleghi "strappandoli" dalla sua vecchia azienda. Le sue competenze si fortificano e lei per due anni consecutivi, il 2009 e 2010, viene inclusa nella lista delle 100 persone più potenti al mondo.
Intanto i profitti di Facebook lievitano grazie a un sistema di business da lei messo in piedi che si basa sui dati degli utenti. L’intuizione è quella di coinvolgere gli utenti spingendoli a mettere un “like” sulle pagine pubblicitarie e a interagire col brand. Più tardi il social network permetterà agli inserzionisti di unire i loro dati a quelli raccolti da Facebook sui suoi utenti.