Uno sciopero del sesso in risposta ad una legge anti aborto, è questa la protesta di Alyssa Milano, attrice americana che il grande pubblico, anche italiano, specie tra la fine degli anni ’90 e l’inizio del nuovo secolo, ha amato per la sua partecipazione a serie tv come Melrose Place e Streghe. Il messaggio, diffuso nelle ultime ore attraverso Twitter e l’hashtag #SexStrike, è chiaro: “I nostri diritti riproduttivi sono stati cancellati. Finché le donne non avranno il controllo sui loro corpi non possiamo rischiare la gravidanza. Unitevi a me e non fate sesso finché non riavremo l’autonomia del corpo”.
E basta dare un’occhiata alla bacheca dell’attrice per accorgersi quanto il problema in questo momento negli Stati Uniti sia sentito e, in questo senso, l’impegno della Milano va ben oltre questa ultima provocazione social. La Milano appare intanto politicamente agguerrita nei confronti di Trump, ma questa non è una novità nei giri dello showbiz hollywoodiano, mentre è degno di nota il report in sette tweet riguardante le leggi sull’aborto che in questo momento si stanno discutendo negli Stati Uniti.
Secondo la stampa americana, dalla CNN al New York Times, l’obiettivo dell’amministrazione Trump è quello di rovesciare la Roe vs Wade, una sentenza storica risalente al 1973, la prima che certifica il diritto di una donna ad abortire entro le 24 settimane, ovvero, tecnicamente, prima che un feto sia “praticabile” fuori dall’utero; più semplicemente prima che il bambino nella pancia si sia formato del tutto.
In Alabama presto si potrebbe votare una legge che in pratica gli aborti li mette fuori legge, e un medico interrompendo una gravidanza rischierebbe fino a 99 anni di carcere, 10 anche solo per averci provato; si stanno prendendo in considerazione eccezioni in caso di stupro, incesto o gravi minacce per la salute della madre. In Georgia il governatore Brian Kemp ha firmato un disegno di legge che vieta l’aborto ai primi segni di un battito cardiaco fetale, in più la stessa legge consente di conteggiare un feto in occasione di un censimento e di conseguenza la possibilità di valutarlo come minorenne dipendente sulle imposte sul reddito; un chiaro invito anti aborto.
L'American Civil Liberties Union e il Centro per i diritti riproduttivi hanno promesso di contestare la legislazione prima che entri in vigore nel gennaio 2020. Nel Mississippi è stata approvata la stessa legge, che però sarà contestata in tribunale alla fine del mese; durante la cerimonia della firma, il governatore Phil Bryant, un repubblicano, ha descritto il battito del cuore come "il marchio universale della vita sin dall'inizio dell'uomo".
Un giudice federale ha invece messo un freno alla legge nel Kentucky e lo stesso dovrebbe avvenire in Ohio, dove la legge entrerà in vigore a luglio. La stessa strada era stata intrapresa da Iowa e Nord Dakota ma la legge è stata subito valutata incostituzionale, in Virginia subito accantonata, senza bisogno dell’intervento di un giudice. In tutt’altra direzione invece lo stato di New York, che il 22 gennaio, proprio in occasione dell’anniversario della sentenza Roe vs Wade, per mano del democratico Andrew M. Cuomo è stata firmata una legge che permette l’aborto anche oltre la 24esima settimana.
La battaglia di Alyssa Milano dunque è solo la punta dell’iceberg di un movimento impetuoso e certamente anche politico che si sta sviluppando in questo momento negli Stati Uniti. E la Milano questa battaglia l’ha già cominciata lo scorso 12 aprile con l’inaugurazione di un podcast dal titolo SorryNotSorry, diventato poi naturalmente anche questo un hashtag, dove l’attrice chiede alle donne di raccontare le loro storie con l’aborto.
Scorrendo commenti e retweet sono in tanti quelli a condividere la battaglia della Milano, ma sono altrettanti quelli che vedono in queste manifestazioni social nient’altro che un colpo di reni per risollevare una carriera, c’è anche addirittura chi ipotizza un futuro nella politica attiva da parte dell’attrice ed effettivamente, osservando bene la costruzione della pagina e la scelta di foto e fonts per la copertina, non si può proprio dire che l’idea sia strampalata: SorryNotSorry è sponsorizzato come se fosse un vero e proprio movimento politico e non passa certo inosservato il richiamo ai colori della bandiera americana.
Se sarà così potrà dircelo solo il tempo, nel frattempo l’astinenza nel nome della riappropriazione del proprio corpo seduce centinaia di migliaia di utenti ed ha fatto breccia nelle redazioni di mezzo mondo. La prima vittoria, si, politica, in questo senso, è stata portata a casa; l’impressione è che la Milano non voglia fermarsi qui, ma soprattutto la battaglia per il diritto all’aborto non si fermerà qui.