Tra il 2016 e il 2017, durante la campagna per le presidenziali Usa e il periodo di transizione, Donald Trump e almeno 17 tra suoi consiglieri e collaboratori hanno avuto contatti con non meglio identificati intermediari russi e con Wikileaks. E’ quanto scrive il New York Times in un’inchiesta sul Russiagate.
Tra i cento contatti tra Trump e il suo staff con intermediari russi e Wikileaks ci sarebbero incontri di persona, telefonate, sms via cellulare, email e messaggi privati attraverso Twitter. Trump e il suo staff hanno sempre negato contatti con i russi durante la campagna presidenziale del 2016. I documenti pubblicati dal New York Times, con date e nomi, si baserebbero su testi già in possesso del Congresso e legati all’indagine sulle interferenze straniere durante la campagna presidenziale, inchiesta che ha già portato 34 persone nel mirino del procuratore speciale Robert Mueller, titolare del Russiagate.
I contatti tra Trump e intermediari russi o legati a Wikileaks
In particolare Donald Trump, tra il 16 giugno 2016 e il 18 luglio 2017, avrebbe avuto sei contatti diretti con intermediari russi o legati a Wikileaks. Aras Agalarov, un miliardario russo che organizzò un evento di miss Universo a Mosca, e il figlio, Emin, avrebbero incontrato Trump in più occasioni. Il primo, pochi giorni dopo l’ufficializzazione della candidatura di Trump alla corsa per la Casa Bianca.
Agalarov lo aveva invitato alla festa, prospettandogli la possibilità di incontrare il presidente russo, Vladimir Putin. Poche settimane dopo Trump firmò una lettera d’intenti che avviava il progetto per la costruzione di una Trump Tower a Mosca. Dopo l’avvio delle primarie, Trump aveva ricevuto una lettera da Agalarov in cui l’oligarca russo manifestava “grande interesse” per la campagna presidenziale. All’inizio del 2017, dopo la cerimonia di insediamento, Trump aveva scritto su Twitter: “Non ho mai avuto niente che a che fare con la Russia“.
Il ruolo dei collaboratori di Trump
L’inchiesta del New York Times delinea anche il ruolo svolto dai suoi collaboratori. Indicando date e incontri. Il primo della lista è l’ex avvocato-tuttofare del presidente, Michael Cohen (condannato a tre anni per evasione fiscale per aver mentito al Congresso e per aver violato la legge elettorale) il quale avrebbe avuto almeno diciassette contatti con i russi. Il primo, pochi mesi l’ufficializzazione della candidatura alla corsa presidenziale di Trump, riguarda l’offerta russa a Cohen di organizzare un incontro con Putin e portare avanti il progetto per la Trump Tower.
Il terzo nome finito sulle pagine del New York Times è quello del figlio di Trump, Donald junior: avrebbe avuto diciassette contatti con i russi sia legati alla costruzione della Tower sia per discutere della possibilità di lanciare su siti di media russi pagine a sostegno della campagna presidenziale. Nel 2016 Donald junior avrebbe avuto diverse conversazioni con Wikileaks, l’organizzazione che aveva hackerato ventimila mail private dei Democratici. Il quarto nome è quello di George Papadopoulos: all’ex consigliere per gli Esteri sono attribuiti dodici contatti con i russi, gran parte dei quali subito dopo l’avvio delle primarie presidenziali.
A Londra Papadopoulos avrebbe incontrato intermediari russi e discusso della possibilità di avere prove contro Hillary Clinton, avversaria di Trump alle presidenziali. Poche settimane dopo un funzionario russo del Dipartimento degli Esteri avrebbe detto a Papadopoulos che sarebbero stati “disponibili a una cooperazione”. L’ex consulente di Trump ha già ammesso di aver mentito all’Fbi negando questi incontri.
I contatti tra Manafort e un'imprenditore legato ai servizi russi
Paul Manafort è il quinto uomo del Presidente: il consulente avrebbe avuto contatti con Konstantin V. Kilimnik, un imprenditore legato ai Servizi russi. Con lui avrebbe discusso di sondaggi e della Trump Tower.
Se Michael Flynn, ex consigliere per la Sicurezza nazionale, incontrò Sergey I. Kislyak, ambasciatore russo negli Stati Uniti, per discutere del voto alle Nazioni Unite riguardo gli insediamenti israeliani, Jared Kushner, il genero di Trump, avrebbe discusso con Kislyak la possibiità di stabilire un contatto diretto con Putin, oltre a parlare di affari.
L’ultimo nome è quello di Roger Stone, il consulente politico del presidente: gli sono attribuiti almeno diciotto contatti. Alla vigilia della Convention repubblicana del 2016, intermediari russi avrebbero offerto notizie su Hillary Clinton in cambio di denaro. Altri contatti ci sarebbero con Wikileaks. Stone, arrestato venerdì mattina dalla Fbi e subito rilasciato dopo aver pagato 250 mila dollari, e regalato ai fotografi il gesto di esultanza come Richard Nixon, è stato incriminato per ostruzione alla giustizia, manomissione di testimonianze e falsa dichiarazione. Lui ha negato le accuse: “Sono tutte false e dettate da motivazioni politiche”.