I tempi nei quali George W. Bush asseriva di aver sfiorato l'anima di Vladimir Putin guardandolo negli occhi sembrano ormai passato remoto. Il rovesciamento del filorusso Yanukovich in Ucraina, con l'ascesa al potere di un esecutivo filo-occidentale che ha spinto Mosca ad annettersi la Crimea (approdo della Flotta del Mar Nero), e il sanguinoso Risiko della Siria (sede di un'altra importante base navale russa, quella di Tartus), con il Cremlino al fianco del governo di Assad e alcuni Paesi dell'area Nato impegnati a sostenere il composito, a volte indecifrabile, mosaico delle milizie ribelli, hanno aperto negli ultimi anni una frattura tra la Russia e l'Occidente che riporta alla memoria i tempi della Guerra Fredda. All'epoca però non c'era internet. La nuova Guerra Fredda è molto più sporca. È fatta di vicendevoli attacchi hacker dalle responsabilità difficilissime da ricostruire. E, soprattutto, è fatta di narrazioni contrapposte che su internet fomentano tifoserie a volte acritiche, tanto da soffocare ogni tentativo di dibattito imparziale.
La guerra delle narrazioni
La Siria è forse l'esempio di scuola di questa battaglia tra narrazioni. Vi sarà capitato di leggere articoli che raffigurano Assad come un boia unico responsabile delle sofferenze del suo popolo. Così come vi sarà capitato di leggerne altri secondo i quali i suoi oppositori sono tutti terroristi tagliatori di teste. Non si tratta di fake news tout-court ma di qualcosa di più complesso e subdolo: notizie che raccontano un parte della verità ma ne ignorano totalmente un'altra parte. Notizie artatamente distorte per raggiungere un obiettivo politico. Ovvero, nuove forme di propaganda, la cui virulenza è salita in proporzione alla tensione tra i due blocchi. Ed è qui che entrano in gioco Russia Today e Sputnik, ai quali Twitter ha bloccato la possibilità di pubblicare post "sponsorizzati", ovvero a pagamento, per allargare la propria base di utenti.
Le ragioni di un'ascesa
Russia Today è un canale satellitare, dotato di un seguitissimo portale in inglese. Sputnik News è una media company multicanale (radio, agenzia, sito internet) che vanta persino un'edizione italiana. Entrambe le testate sono controllate direttamente dal Cremlino tramite l'agenzia stampa Rossiya Segodnya. La loro funzione dichiarata è offrire un punto di vista alternativo a quello dei media occidentali. E i loro lettori occidentali sono cresciuti in maniera esponenziale negli ultimi anni, in parallelo con il montare in Usa ed Europa di quell'ondata sovranista che ha visto in Putin un punto di riferimento da contrapporre, in maniera a volte messianica, alle proprie classi dirigenti tradizionali. Queste ultime hanno assistito con preoccupazione alla crescita tra i loro elettori del pubblico di RT e Sputnik.
Putin ha saputo approfittare della situazione, anche col sostegno, nemmeno troppo nascosto, ai partiti euroscettici e nazionalisti del vecchio continente, favorevoli a un rapporto meno teso con la Russia. Per i sostenitori dei quali RT e Sputnik sovente sono vero e proprio Vangelo, piuttosto che un'utile fonte di informazioni alternativa alla quale attingere per costruirsi un punto di vista equilibrato. A prescindere dal giudizio che si possa avere sull'affidabilità di queste testate, il dato di fatto rimane una vittoria sul campo dei mezzi d'informazione legati a Mosca, che hanno saputo allargare enormemente i propri utenti oltreconfine, complice la crescente sfiducia delle opinioni pubbliche occidentali nei confronti dei propri media tradizionali. A Washington e a Bruxelles occorreva correre ai ripari.
Levata di scudi contro RT
Il ban pubblicitario imposto da Twitter è l'ultima tappa di una reazione che ha avuto importanti precedenti. Nel 2015 Ofcom, l'autorità per le comunicazioni britannica, aveva minacciato di sanzioni RT accusandola di coprire le vicende ucraine in maniera faziosa. Nel novembre 2016 una risoluzione del Parlamento Europeo definisce la testata uno strumento di propaganda del Cremlino. Lo scorso gennaio, utilizzando come casus belli la violazione del copyright su un video, Facebook sospende per 72 ore l'account di RT in vista del discorso di inaugurazione di Donald Trump. In molti avevano accusato Mosca di aver aiutato 'The Donald' a salire alla Casa Bianca. La realtà è probabilmente più complessa. Molte bufale contro Hillary Clinton non sono arrivate dal Cremlino ma dai troll di 4chan. E molti sostenitori di Trump leggono Russia Today semplicemente perché la vedono più vicina alla loro visione del mondo rispetto a, per dire, la Cnn. Leggere solo quello con cui si è d'accordo: un problema vecchio come il giornalismo. Nondimeno, è proprio dal cosiddetto Russiagate che nasce l'iniziativa di Twitter.
L'ombra del Russiagate
Ad annunciare che RT e Twitter non potranno più fare pubblicità su Twitter per "aver interferito" nelle elezioni del presidente Usa del 2016 "per conto del governo di Mosca" è stato il profilo ufficiale del social network. "Questa decisione si basa su uno studio retrospettivo sulla situazione delle elezioni negli Stati Uniti del 2016, così come sui risultati dei vari servizi d'intelligence degli Stati Uniti", si legge nel post, "non prendiamo questa decisione alla leggera", hanno fatto sapere dal social network, "ma la applichiamo per garantire ai nostri utenti l'integrità del servizio". I profili delle tue testate potranno comunque continuare a postare. La società ha anche detto di "aver donato gli 1,9 milioni di dollari ricevuti da Rt e Sputnik dal 2011" per effettuare "uno studio gestito da entità esterne sull'uso di Twitter nell'impegno per la società civile e le elezioni, incluso il contrasto all'uso di informazioni false".
Le reazioni di Mosca
"Devo ammettere che non pensavo che Twitter fosse in mano ai servizi segreti americani", la replica della caporedattrice di Rt, Margarita Simonyan, "pensavo a una teoria complottista, ma Twitter mi ha smentita. È un vero peccato". E ha ironizzato ancora: "Non avrei mai pensato che in una democrazia sviluppata la pubblicità ordinaria dei media potesse diventare un'attività sospetta". "La consideriamo l'ennesima mossa aggressiva, volta a bloccare l'attività del canale televisivo Russia Today, il risultato della pressione di una parte dell'establishment e dei servizi segreti americani", ha commentato a Ria Novosti la portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova. "Naturalmente seguiranno misure di risposta", ha aggiunto, denunciando che "l'adesione a questa campagna (anti-russa) da parte delle società private testimonia l'attacco senza precedenti delle forze di sicurezza americane contro i media".
La versione di RT: "Twitter voleva più soldi"
Russia Today ha risposto con un articolo dove racconta un'altra verità: Twitter "voleva più soldi da noi, ma non accettammo la loro proposta". Negando di "aver mai messo agito in modo illegale e di aver mai avuto un progetto per interferire nelle elezioni americane", la testata ha raccontato, con tanto di documenti, i dettagli dei negoziati commerciali con il social network: "Nel 2016 - scrive RT - vi furono trattative tra noi e Twitter, in cui questi ultimi cercando di spingerci ad accettare una proposta pubblicitaria di ingenti somme. La proposta aveva a che fare con la promozione sulla piattaforma di microblogging della copertura data da RT alle elezioni americane, e fu rifiutata da RT".
THIS is how @Twitter pushed RT 'to spend big' on 2016 US election https://t.co/9uZiWP8dS3 pic.twitter.com/JSZAbv4qzY
— RT (@RT_com) 26 ottobre 2017
"A differenza di quanto fatto da Twitter - scrive ancora RT - per adesso non riveliamo i dettagli finanziari di quella proposta nè i nomi di chi era coinvolto nelle trattative, in ossequio a una regola di discrezione tipica dei contratti". Qualcosa, però, Russia Today la racconta: RT e Twitter tennero insieme "una serie di trattative dirette in vista della costruzione di una strategia di comunicazione alla vigilia delle elezioni americane. A esse presero parte diversi manager autorevoli del marketing e del settore news di Twitter". L'idea presentata a Rt - afferma ancora il sito - era: 'Più spendi più hai un ruolo". Anche questa volta, due verità contrapposte tra le quali è difficile orientarsi. Una cosa sola è certa: se Putin ha veramente investito dei soldi per favorire l'elezione di Trump, non ha decisamente fatto un buon affare.