Sei mesi, sei lunghissimi mesi senza notizie certe di Silvia Romano. La giovane cooperante italiana è stata rapita il 20 novembre del 2018 nel villaggio di Chakama, a 80 chilometri da Malindi in Kenya.
Sei mesi fa Silvia è stata sottratta da una banda di criminali al suo lavoro in favore dei più deboli, i bambini, di coloro che hanno poco o nulla, nonostante la vicinanza alla città costiera del Kenya amata, soprattutto, dagli italiani. Un luogo che schiaffeggia la povertà.
Non ci sono notizie certe sulla sorte di Silvia e nemmeno dove sia tenuta prigioniera. Da mesi tutti tacciono.
Le forze di polizia keniane non dicono nulla. Le autorità italiane nemmeno. Come interpretare questo silenzio? Già molto si è detto sull’incapacità delle forze di sicurezza del Kenya di venire a capo di un rapimento anomalo, che doveva risolversi rapidamente.
Un sequestro messo in atto da una banda di criminali comuni che, però, con il tempo pare essersi sfaldata, dopo l’arresto di uno dei componenti.
Non è chiaro se la giovane sia passata di mano, magari a una banda di criminali più organizzata. Non è chiaro, nemmeno, dove si trovi la giovane cooperante italiana.
Nessuno sa dirlo. Le ipotesi si susseguono come fossero una litania infruttuosa.
Dal rapimento si sono alternati diversi sentimenti, dall’euforia per una rapida soluzione, allo sconforto e, infine, al silenzio. Un silenzio così assordante che ha fatto da eco alle ipotesi più fantasiose e drammatiche.
Solo silenzio
Lo abbiamo raccontato in questi mesi. Notizie, tuttavia, senza alcun fondamento, senza essere suffragate da notizie verificate e accertate.
Quasi a volere gettare fango su una giovane che era partita dal Kenya solo per inseguire un sogno e animata dal desiderio di aiutare i più poveri. Ma non solo.
Notizie false che nessuno, le autorità del Kenya e nemmeno quelle italiane, si è premurato di smentire. Questo lo si doveva e si deve a Silvia Romano. Invece solo silenzio.
Un mandato al riserbo voluto dalla famiglia, e questo è comprensibile, e dalle autorità per “non intralciare le indagini”. La domanda è questa: ha ragion d’essere, ancora, il silenzio? Nessuno vorrebbe che questo tacere si traduca in indifferenza. Silvia non è scomparsa nel nulla.
In questi lunghi sei mesi, proprio per rispettare il mandato del silenzio voluto anche dalla famiglia, non ci sono state fiaccolate, manifestazioni.
Le associazioni del quartiere dove è cresciuta Silvia, a Milano, però, hanno deciso di organizzare un “girotondo per Silvia” per non dimenticare, proprio allo scadere del sesto mese dal rapimento. Un girotondo per scuotere.
“Silvia si trovava nel Paese africano come cooperante internazionale, seguiva le attività di una scuola, lavorava con i bambini keniani di un villaggio rurale”. Si legge nel documento sottoscritto dalle associazioni che hanno aderito al girotondo di ieri. “La sua scelta è quella di migliaia di ragazzi e ragazze che hanno deciso di mettersi al servizio del prossimo, in Italia e nel mondo”.
Le associazioni sottolineano la necessità di mantenere costante l’attenzione dell’opinione pubblica, nel rispetto della sensibilità dei familiari e dell’operato delle istituzioni impegnate per la sua liberazione.
Il “girotondo per Silvia” si è svolto nel suo quartiere, dove ha frequentato le scuole del Parco Trotter, dove è cresciuta, in un ambiente multiculturale, forse decisivo per il suo impegno in Africa.
Gli organizzatori hanno chiesto “al Consiglio Comunale di Milano di ritornare a far sentire la sua voce per sollecitare il massimo impegno delle Istituzioni centrali, pur nel riconoscimento degli sforzi finora compiuti, e per chiedere al Governo Italiano di riferire circa la situazione di Silvia Romano rispettando le dovute cautele necessarie in questi casi". E "si appellano al presidente della Repubblica Sergio Mattarella perché continui a esercitare, con la costanza e sensibilità finora dimostrate, il suo ruolo di stimolo affinché niente rimanga intentato per riconsegnare Silvia Romano ai suoi familiari sana e salva".
Un forte appello, dunque, alle autorità italiane che ora possono fare il loro lavoro anche in Kenya. I servizi segreti e i Ros dei carabinieri, presenti nell’area fin dai primi giorni, ora possono indagare, muoversi sul terreno, grazie all’insistenza e a una rogatoria della procura della Repubblica di Roma che ha chiesto alle autorità del Kenya di visionare il fascicolo e partecipare alle indagini.
Gli altri rapiti
Non possiamo, però, dimenticare altri due italiani di cui non si sa più nulla, uno rapito in Niger e l’altro scomparso in Burkina Faso.
Padre Gigi Maccalli è stato rapito il 17 settembre del 2018 in Niger. Otto mesi, poche notizie. Anche qui non si sa nulla, o poco, e le ultime notizie, almeno quelle note risalgono al 17 dicembre del 2018. Allora è stato riferito, dal vescovo della diocesi di Nyamey, monsignor Djalwana Laurent Lompo, che il missionario italiano stava bene e che era vivo. Sono passati cinque mesi da queste affermazioni e non si è saputo più nulla. Anche qui solo silenzio. Oltre alla nostra rappresentanza diplomatica, in Niger ci sono i nostri militari, operano sul terreno, e sono stati sottoscritti accordi con quel paese. Eppure tutto tace. Non c’è nessuna notizia certa di dove si trovi padre Maccalli e su quali passi si stanno compiendo per la sua liberazione.
E poi c’è il giovane italiano scomparso nel nulla in Burkina Faso. Di Luca Tacchetto ed Edith Blais non si hanno più notizie dal 16 dicembre 2018. L’italiano e la sua amica canadese hanno raggiunto il Burkina Faso in macchina – sono partiti dall’Italia - dopo aver attraversato la Mauritania e il Mali, per poi raggiungere il Togo. Luca e Edith erano diretti a Kpalimé, una cittadina del Togo, dove avrebbero dovuto unirsi a un’Organizzazione non governativa legata all’ambiente. Di loro non si sa nulla, cinque mesi senza notizie. L’ultima volta sono stati visti nella città del sud-ovest del paese, Bobo Dioulassou.
Molte le ipotesi, che rimangono solo suggestioni. Non si esclude nulla. Potrebbero essere stati rapiti da gruppi terroristici, che infestano tutta la sub-regione, oppure da criminali comuni. Ma nessuna rivendicazione è arrivata.
La vicenda, quindi, è avvolta dal mistero. E anche qui, di recente, è stata aperta una nostra rappresentanza diplomatica. Eppure neanche di Luca si sa più nulla. Scomparso, appunto.
Rompere il silenzio, su tutte queste tragiche vicende, non è un esercizio intellettuale, ma un dovere civico.