La coalizione indipendentista ha vinto le elezioni anticipate in Catalogna sia pure in maniera risicata (70 seggi contro i 68 della maggioranza minima richiesta al 'Parlament') ma il primo ministro spagnolo, Mariano Rajoy, non vuole saperne di trattare con il suo leader, il presidente destituito Carles Puigdemont, che dal suo autoesilio belga gli ha chiesto un incontro in territorio neutro "senza condizioni". In una conferenza stampa da Bruxelles, Puigdemont ha invitato il premier a riconoscerlo come vincitore e "restaurare la legittimità del suo governo". Rajoy non intende però minimamente restituirgli il rango di interlocutore, dopo il referendum illegale e la dichiarazione di indipendenza unilaterale che lo costrinsero a commissariare la regione ribelle, affidandone la guida provvisoria alla sua fedelissima, la vicepremier Soraya Sanchez de Santamaria, per poi indire nuove elezioni.
"Se devo trattare con chi ha vinto, tratto con Ciudadanos"
Se proprio deve "trattare con il vincitore", afferma Rajoy, questa palma spetta a Inés Arrimadas di Ciudadanos, sigla centrista, nata come formazione di protesta, che si è imposta come primo partito in Catalogna. La strategia di Arrimadas, che ha sventolato la bandiera unionista lanciando un appello al voto utile, ha pagato. Rispetto al voto del 2015, Ciudadanos ha guadagnato 12 seggi, salendo a quota 37. Un successo che però non consentirà all'agguerrita politica andalusa di andare al governo. Socialisti e Popolari hanno raccolto rispettivamente 17 e 3 voti. Anche conquistando alla causa unionista gli otto parlamentari di Podemos (partito che in materia referendaria non si è schierato, pur avendo espresso il sindaco di Barcellona, Ada Colau), Arrimadas non raggiungerebbe un numero di seggi sufficienti, a differenza di Junts Per Catalunya (34 seggi), il partito di Puigdemont, ed Esquerra Republicana (32 seggi) del suo ex vice (Oriol Junqueras, al momento in carcere), dando per scontato che con loro ci siano anche i quattro parlamentari dell'estrema sinistra del Cup. Rajoy si è detto pronto a un dialogo "costruttivo, aperto e realistico" con qualsiasi governo sia pronto a discutere entro i paletti fissati dalla Costituzione, ovvero a rinunciare a ogni velleità separatista, e ha invitato alla ricomposizione della "frattura" che ha constatato nella società catalana.
E ora cosa succede?
Ciudadanos, numeri alla mano, ha già fatto sapere che non accetterà un eventuale mandato per formare un governo che non avrebbe la maggioranza. Spetta agli indipendentisti proporre un candidato. Puigdemont non può però recarsi in patria a reclamare la vittoria: verrebbe subito arrestato, dato che sul suo capo pendono ancora le imputazioni di sedizione, ribellione e malversazione. Saprà la sua coalizione proporre una figura moderata in grado di raccogliere l'invito al dialogo di Madrid? Di certo non può aspirare a questo ruolo Marta Rovira, la leader di Esquerra Republicana che è stata il vero volto della campagna indipendentista. E non solo perché Rovira ha posizioni ancora più oltranziste (fu lei, si dice, a convincere un titubante Puigdemont a insistere sulla dichiarazione di indipendenza unilaterale). La Vanguardia fa sapere che il Tribunale Supremo ha messo sotto inchiesta per ribellione anche lei, non coinvolta dalla prima tornata di indagini, insieme ad altri cinque politici catalani, tra i quali figura anche l'ex presidente della Generalitat Artur Mas.
Il nuovo 'Parlament' dovrà insediarsi entro il 23 gennaio ed entro il 10 febbraio dovranno iniziare le votazioni per il presidente, in un clima che verrà arroventato da inchieste giudiziarie e, forse, nuovi arresti. Se entro aprile, la Generalitat si ritroverà ancora senza nessuno al timone, Madrid dovrà convocare nuove elezioni. Non è improbabile che sia questo lo scenario favorito dal premier. Ma la cosa certa è una sola: Rajoy non tollererà nuovi colpi di mano.