L'appello a un cessate il fuoco in Libia, lanciato a Istanbul l'8 gennaio dal presidente turco Recep Tayyip Erdogan e dall'omologo russo Vladimir Putin, ha sancito la centralità del ruolo di Turchia e Russia nella risoluzione della crisi libica. Un copione già visto nel conflitto siriano, che si basa su una sempre più consolidata intesa tra i due leader, nonostante in entrambi i teatri di guerra siano schierati su fronti opposti.
La Russia è il principale sponsor del presidente siriano, Bashar al-Assad, che senza il sostegno di Putin sarebbe già stato deposto da tempo. Erdogan, al contrario, ha scaricato Assad sin dai primissimi mesi della rivolta in Siria, senza mai un ripensamento e forse trascurando la possibilità che possa riprendere in mano le redini del Paese.
Nonostante il diverso posizionamento, i due Paesi sulla Siria dialogano da anni e il 22 ottobre hanno trovato a Sochi un'intesa per porre fine all'offensiva militare turca contro i miliziani curdi Ypg nel Nord-Est e spartirsi il territorio, per garantire a Erdogan la creazione di una safe zone che tenga lontani "i terroristi" dal confine turco e allo stesso tempo riportare gli uomini di Assad in territori da cui erano assenti dal 2011.
In Libia Erdogan sostiene il governo di Tripoli di Fayez al-Serraj, mentre Putin sta con il generale Khalifa Haftar. L'incontro di Istanbul non ha sancito nessuna spartizione della Libia, come avvenuto per il nord est della Siria. Una prospettiva impossibile per i due Paesi, troppo lontana la Libia dalla Turchia, che non ha la capacità di garantire una presenza in nord Africa così massiccia da consentire il controllo di un pezzo di territorio. Probabile piuttosto che Erdogan punti alla costituzione di una base navale che gli garantisca di non essere escluso dalla corsa agli idrocarburi di Cipro.
Allo stesso modo Putin sostiene Haftar, la cui forza sul territorio non è paragonabile all'autorevolezza di Assad in Siria. L'appello al cessate il fuoco tuttavia costituisce un segnale importante, innanzitutto perché lanciato dai due principali sponsor dei due pretendenti al controllo della Libia; in secondo luogo perché il sostegno garantito da russi e turchi ai due opposti schieramenti non si è limitato alla politica, spingendosi fino alla fornitura di armi, droni e blindati e la presenza di milizie paramilitari, fino al recente invio di un piccolo contingente turco avvenuto pochi giorni fa.
Putin ed Erdogan propongono un piano per il cessate il fuoco in un Paese impantanato in un conflitto sul quale la comunità internazionale, Europa in testa, è stata incapace di esprimere una posizione unitaria, senza neanche riuscire a proporre una data per la conferenza di Berlino. Al termine del recente incontro con il ministro degli Esteri Mevlut Cavusoglu ad Istanbul, il ministro degli Esteri italiano Luigi Di Maio, ha dichiarato che all'Italia è stata proposta la partecipazione a un tavolo tecnico sulla Libia, con Russia e Turchia.
Meno di 24 ore dopo il ministro italiano non ha firmato il documento finale dell'incontro sulla Libia tenutosi al Cairo, cui hanno partecipato rappresentanti di Egitto, Grecia, Cipro e Francia, unanimi nel condannare la Turchia.
È interessante notare che la proposta della Turchia risponde a un format già in atto in Siria dal 2017, vale a dire da quando è partito il "processo di Astana", che si e' proposto di portare stabilità nel Paese e garantirne l'integrità territoriale, con un tavolo tecnico che vede periodicamente la partecipazione di Russia, Turchia e Iran, con quest'ultimo nettamente defilato rispetto ai primi due.
Al di là di quelle che saranno le mosse dell'Italia appare sempre più evidente come Turchia e Russia, dopo essersi imposti come i principali interlocutori nel conflitto siriano stanno compiendo gli stessi passi per diventare attori essenziali nella ricomposizione della crisi libica.