L'assedio del palazzo presidenziale della Serbia da parte di migliaia di persone, il mese scorso al grido di "Aleksandar Vucic dittatore", e poi l'assalto alla televisione pubblica Rts sono stati solo gli episodi più clamorosi. Anche ieri 10 mila persone a Belgrado chiedevano le dimissioni del presidente e scandito slogan per la "libera informazione" e contro la corruzione. Idem in Albania, dove a migliaia sempre ieri hanno gridato contro il premier Edi Rama, al potere dal 2013.
Ma è da mesi che i Balcani bruciano. Oppure rinascono, dipende dai punti di vista. Piazze che si riempiono ogni settimana, nuovi movimenti politici che nascono come funghi. E certo non solo in Serbia: un fenomeno che sta riguardando il Montenegro, l'Albania, la Repubblica serba di Bosnia ed Erzegovina, tanto che sui social si rincorre un nuovo hashtag, #BalkanSpring.
Davvero siamo ad una nuova stagione di "primavere" dei Balcani? A sentire gli attivisti locali, sembrerebbe proprio di sì: decine di migliaia di manifestanti ogni settimana, folle formate da semplici impiegati, piccoli imprenditori, poi intellettuali, studenti, accademici pensionati. Al grido, di Paese in Paese, di "Resistere", "Lo Stato siamo noi" oppure "Uno di cinque milioni": questi i nomi dei nuovi movimenti in azione nei Balcani occidentali.
Nel mirino quelli che secondo loro sono governi corrotti, autoritari, clientelari. E come scrive BalkanInsight, molto spesso è una mancanza di prospettive a risolversi in rabbia e trasformarsi in protesta organizzata. Manifestazioni che ormai si ripetono con assoluta regolarità, quasi sempre di sabato. In Serbia la miccia è stata accesa dall'aggressione di Borko Stefanovic, esponente dell'opposizione, selvaggiamente picchiato e ferito lo scorso novembre nella città di Krusevac: da allora decine di migliaia di serbi tornano in piazza contro il governo di Vucic, accusato di soffocare il dissenso.
Nella Repubblica serba di Bosnia, il movimento di protesta civico è invece nato nell'aprile dell'anno scorso in seguito alla misteriosa morte di un giovane: per mesi la gente è scesa in strada gridando "Giustizia per David", facendo tremare il governo del nazionalista Milorad Dodik. Idem l'Albania: è da dicembre il Paese è percorso da proteste contro il premier Edi Rama, accusato di corruzione e di aver manipolato le scorse elezioni legislative per rimanere aggrappato al potere. E ancora: proteste anche in Montenegro, dove il partito del presidente Milo Djukanovic è nella bufera per una storia di tangenti, mentre lo stesso capo dello Stato e la sua famiglia sono sott'accusa per aver gestito il potere con metodi "mafiosi": il Paese ha registrato le più grandi proteste da diversi anni a questa parte, questa volta sotto lo slogan "Rialzarsi".
Ci sono dei precedenti abbastanza recenti di ondate di protesta nei Balcani, come per esempio la "primavera bosniaca" del 2014 o la "rivoluzione colorata" di due anni fa in Macedonia. Oggi la differenza è che vanno in scena contemporaneamente, ai quattro angoli dei Balcani. Il potere, intanto, fa di tutto per disinnescare le proteste: per esempio in Serbia, alcuno media locali riferiscono che le compagnie dei trasporti di diverse città si sono rifiutate di noleggiare pullman ai manifestanti dell'opposizione. Dicono di temere reazioni di rappresaglia da parte delle autorità.