La chiazza di immondizia del Pacifico, nota come Great Pacific Garbage Patch (Gpgp), è tra 4 e 16 volte più grande rispetto alle stime precedenti. A riferire dello stato di salute allarmante dell’oceano è la rivista 'Scientific Reports', sulla base di dati incrociati raccolti da navi e sorvoli dell’area.
Il mare di plastica che galleggia tra le Hawai e la California è costituito da miliardi di pezzi di plastica e circa 80 mila tonnellate di rifiuti: una vera e propria discarica nel mezzo del Pacifico. Non si tratta di una massa compatta e per valutare la sua superficie i scienziati hanno preso in considerazione ogni chilometro quadrato che conteneva più di un chilo di plastica. Una chiazza che copre ormai 1,6 milione di chilometri quadrati, tre volte la superficie della Francia . Per realizzare il nuovo studio sono stati raccolti 1,2 milione di campioni e sono stati effettuati decenni di scatti fotografici aerei. Da questi è venuto fuori che galleggiano più 1.800 miliardi di pezzi di plastica, con un peso di 80 mila tonnellate, ma questo magma di plastica “sta aumentando in modo esponenziale” in quell’area del Pacifico più che nelle zone marittime vicine.
Il risultato di questa nuova ricerca è considerato davvero molto vicino alla realtà, in quanto basato su metodi di analisi più affidabili rispetto ai due precedenti studi, precisa 'Scientific Reports'. Per i ricercatori l’aumento esponenziale dell’inquinamento del Pacifico con la plastica è da attribuire ai detriti dello tsunami giapponese del 2011 che hanno raggiunto quell’area. Per di più cresce senza sosta la produzione di plastica, a quota 320 mila tonnellate l’anno, con buste, bottiglie, imballaggi e reti da pesca buttati in mare, poi trascinati da vortici giganti formati dalle correnti, che minacciano ecosistemi e animali.
I scienziati si aspettavano di trovare plastica di dimensione microscopica, invece i tre quarti dei campioni prelevati hanno dimensioni superiori ai cinque centimetri e la metà è materiale da pesca abbandonato. Corde e reti ‘fantasmi’ uccidono molti pesci, tartarughe e mammiferi marini che si impigliano dentro. Tuttavia “è piuttosto una buona notizia poiché i pezzi grossi sono più facili da recuperare rispetto alla microplastica. Questi ultimi sarebbero molto più dannosi poiché ingeriti dai pesci entrerebbero poi nella catena alimentare” ha precisato Laurent Lebreton, della fondazione Ocean Cleanup, tra i principali ricercatori del nuovo rapporto.
Guardando alle responsabilità, gli autori della ricerca scientifica puntano il dito non tanto sull’industria della pesca quanto sullo stile di vita più diffuso nel mondo, quello dell’uso e getta. “Se vogliamo risolvere il problema su scala mondiale bisogna prendere provvedimenti importanti. Dobbiamo cambiare le abitudini per quanto riguarda la plastica monouso” ha avvertito Lebreton.