C’è una data: 18 ottobre. La successione al vertice del potere in Cina sarà l’elemento più dibattuto, ma il diciannovesimo Congresso del Partito Comunista Cinese (PCC) avrà anche altre ragioni per finire sotto la lente di ingrandimento degli analisti politici. A cominciare dall’enfasi che verrà posta sulla direzione che prenderanno le riforme del sistema, a tutti i livelli: politico, economico e sociale. Il Congresso si riunisce ogni cinque anni ed è il più importante appuntamento politico. Tra un quinquennio e l’altro, il partito organizza ogni anno il plenum e sempre d’autunno. Ma l’appuntamento di questo ottobre è particolarmente importante perché cinque dei sette membri del Comitato Permanente – il cuore del potere – andranno presumibilmente in pensione e verranno sostituiti. L’attuale presidente Xi Jinping entrerà nel suo secondo mandato. Potrebbe dettare la successione politica – al momento non ha eredi. Si ritiene che possa inserire la sua teoria politica nella costituzione del partito, come fatto in passato da Mao e Deng. A meno di colpi di scena.
Il Comitato centrale conta 370 membri
Se il sistema politico cinese è noto per una certa opacità, la corsa al potere diventa un enigma: le promozioni avvengono in segreto. Qualsiasi previsione rischia di essere fallace. Si dice in Cina, analizzare le dinamiche interne equivale a sapere “leggere le foglie di tè”, cioè ad avere doti di divinazione. I 2300 delegati provenienti da tutte le province della Cina che si riuniranno a Pechino avranno il compito di ‘eleggere’ il nuovo Comitato Centrale, che conta circa 370 membri. Dal congresso usciranno anche i nomi dei nuovi venticinque membri del Politburo, l’Ufficio Politico del Comitato Centrale, e del Comitato Permanente del Politburo, che oggi è composto da sette membri e il cui numero è variabile. Ogni anno ad agosto quando i leader spariscono per tre settimane da giornali e televisioni, vuole dire che si sono ritirati nella località balneare di Beidahe, a est di Pechino, per preparare i giochi politici di autunno.
Il vertice è ammantato di segretezza. A partire dal tre agosto - due giorni dopo la parata militare per celebrare il novantesimo anniversario della fondazione dell'Esercito Popolare di Liberazione e due settimane dopo la caduta in disgrazia dell'astro nascente, Sun Zhengcai, rimosso dall'ambitissima municipalità di Chongqing - i big del Pcc sono letteralmente spariti dalla scena pubblica. Ora sono riapparsi ed è molto probabile che, in questo periodo di assenza pubblica, abbiano già assegnato le poltrone e chiuso i giochi.
Xi uomo solo al comando?
In Cina il partito è sovrapposto allo Stato. Il PCC, al potere dal 1949, non è eletto democraticamente. Le elezioni non si svolgono se non in ristretti ambiti - locali e amministrativi. Sempre pilotati dal centro. Sebbene non si possa parlare di una vera e propria riforma politica, il partito negli ultimi anni ha sì introdotto alcuni meccanismi istituzionali per rendere il sistema più partecipativo. Si tratta di meccanismi che i cinesi definiscono democratici. A partire dall’enfasi sulla leadership collettiva – introdotta per evitare revival maoisti e pericolosi culti della personalità. Eppure l'attuale presidente Xi Jinping è stato nominato "core leader" del partito diventando così la carica storicamente più potente dopo Deng Xiaoping.Qualche analista lo descrive come un uomo solo al comando; ha eliminato una lunga serie di “tigri” (funzionari di alto livello) nel corso della campagna anti-corruzione più feroce che la Cina ricordi. Resta il tema del consenso: un partito non eletto, noto per essere coercitivo, come può mantenere il sostegno del popolo?
Il popolo sta con il presidente
Questa macchina politica al cui vertice siedono sette potentissimi uomini, e che conta quasi novanta milioni di membri, non collassa come qualcuno da tempo ipotizza: un paese comunista con un sistema di libero mercato senza una svolta democratica ha vita breve perché la gente a un certo punto inizia a chiedere maggiori libertà. Non funziona così in Cina: il partito si adatta a tutto e resta al potere nonostante l’economia sia rallentata e siano aumentati i segnali di malcontento all’interno della società, perlopiù legati alla corruzione endemica, al clima compromesso, a una cattiva gestione dei diritti umani, alle disparità socio-economiche – e via dicendo. Il popolo sta con il presidente Xi Jinping. Lo spiega nel suo libro titolo “The Dictator’s Dilemma. The Chinese Communist Party’s strategy for survival” Bruce J. Dickson. Basato su sondaggi pubblici e interviste, il direttore del centro di studi asiatici della George Washington University dimostra che i dirigenti cinesi godono ancora di una certa popolarità. Il patto sociale stretto con il popolo dopo la strage di Tian’anmen del 1989, crescita economica in cambio di appoggio politico, non è venuto meno quando negli ultimi anni l’economia ha iniziato a rallentare la sua corsa. Semmai si è trasformato. Innanzitutto perché la popolarità dei leader, dimostra Dickson, non dipende dal tasso del pil ma dai salari - che crescono. E poi vari elementi concorrono a formare la strategia per il mantenimento della legittimità, dalla repressione di potenziali minacce alla cooptazione di nuove frange sociali e attori economici. Puntando sulla modernizzazione economica e sull’innovazione tecnologica, come il piano Made in China 2025 che sta trasformando la Cina in un gigante manifatturiero. E alimentando i sentimenti nazionalistici attraverso il recupero di valori tradizionali, quali il confucianesimo, mescolati agli elementi di marxismo-leninismo-maoismo. Sotto lo slogan della “rinascita della nazione cinese” promosso da Xi.
Perché dunque seguire il prossimo Congresso con attenzione?
La Cina è la seconda maggiore economia al mondo. Tra il 2000 e il 2016, l'Italia si è posizionata al terzo posto tra le destinazioni degli investitori cinesi in Europa. Da Pirelli all’Inter e al Milan, molte aziende italiane sono oggi in mano cinese: al 2016 sono 168 gli investitori cinesi in Italia, in crescita del 7%. La politica cinese sugli investimenti ha oggi delle ripercussioni anche in Italia, come nel caso del mercato sportivo. L’Italia vuole un ruolo importante all’interno della Via della Seta, il progetto promosso da Pechino di collegamento infrastrutturale da oltre 900 miliardi di dollari che vuole connettere l’Asia all’Europa via terra e via mare.
Ci sono almeno quattro ragioni per le quali è importante sapere cosa accadrà in Cina da qui al Congresso.
Conoscere i prossimi dirigenti che guideranno la Cina
Molti i nodi da sciogliere al prossimo Congresso, che qualcuno già definisce un “mid-term”: non cambierà in maniera sostanziale l’assetto del potere. Al vertice del partito e dello stato è destinato a rimanere Xi Jinping, la cui rielezione per un secondo mandato è data per scontata: a cambiare saranno cinque membri del Comitato Permanente (rimarrà anche il premier, Li Keqiang), undici del Politburo, e circa duecento del Comitato Centrale. In base alla consuetudine secondo cui, superati i sessantotto anni di età, i leader devono andare in pensione. Da tempo circolano i nomi dei possibili successori al vertice del partito, che in comune avrebbero soprattutto una caratteristica: la fedeltà al presidente cinese.
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Capire l’ambizione di Xi Jinping
Uno dei quesiti da cui ci si aspetta una risposta al prossimo Congresso sarà quello sul ruolo del presidente cinese all’interno del partito. Nominato “nucleo della leadership” o “core leader” allo scorso plenum di ottobre 2016, Xi viene generalmente considerato il leader cinese più potente dai tempi di Deng Xiaoping e il Congresso potrebbe sancire, per Xi, l’inclusione del suo pensiero politico nella costituzione del partito come accaduto ai leader che lo hanno preceduto. Il pensiero di Xi Jinping, riassunto nella formula “quattro complessivi”, è stato citato anche dal comunicato ripreso dall’agenzia Xinhua che introduceva al Congresso di ottobre prossimo. La strategia, diffusa nel 2015, si compone dei quattro pilastri del futuro della Cina per il presidente: la costruzione di una società prospera; l’approfondimento delle riforme; l’avanzamento dello stato di diritto; e il rafforzamento della governance politica del PCC.
La possibilità di un’inclusione di teorie di Xi nella carta del PCC, nasce da una serie di editoriali comparsi sui media ufficiali che sottolineano l’apporto del pensiero del presidente allo sviluppo del Paese. In uno di questi l’agenzia Xinhua sottolinea: “I pensieri sulla governance di Xi, che vanno dalle riforme economiche e sociali agli affari esteri alla trasformazione dell’esercito, hanno avuto una grande influenza per il corso preso dal Paese”. Se l’inclusione viene data come molto probabile, resta ancora da capire se il pensiero di Xi verrà inserito o meno con il suo nome. Il passato offre esempi diversi. Il nome era stato previsto per Mao Zedong e per Deng Xiaoping, i primi due leader della Repubblica Popolare Cinese, ma non per Jiang Zemin, il successore di Deng, il cui nome è legato alla teoria delle “tre rappresentanze”. Stessa cosa accadde per Hu Jintao, il predecessore di Xi, la cui eredità politica è segnata dallo “sviluppo scientifico” per la costruzione di una società armoniosa.
Capire le prossime riforme cinese che potrebbe riguardarci
Al di là del toto-nomi, la scelta dei nuovi leader avrà ripercussioni sul futuro della Cina. Dalla composizione della nuova classe dirigente a livello nazionale, si potrà scorgere il futuro che prenderanno le riforme di sistema. Se dalle nuove nomine non arriveranno indicazioni di un ritiro di Xi dalla vita politica attiva nel 2022, alla scadenza del secondo mandato, c’è già chi ritiene che, in assenza di tali segnali, le riforme possano arenarsi per resistenze interne al partito. Sotto la lente di ingrandimento ci sono soprattutto quelle del settore finanziario, nell’ottica di evitare rischi di sistema, pericolo evidenziato in più occasione dallo stesso presidente.
Gli obiettivi principali delle riforme sono stati elencati dallo stesso Xi a luglio scorso, quando per la prima definì il Congresso un “meeting chiave in un momento cruciale” che giunge al termine di “cinque anni straordinari”. Le riforme avranno lo scopo di realizzare lo “sviluppo del socialismo con caratteristiche cinesi” e il raggiungimento di una società moderatamente prospera, obiettivo da centrare entro il 2021, centenario della fondazione del Pcc. I cosiddetti “obiettivi del centenario”, comprendono anche il raggiungimento di un’economia prospera e avanzata entro il 2049, centenario della fondazione della Repubblica Popolare Cinese.
Uno scorcio delle riforme che verranno affrontate al prossimo Congresso è stato dato dall’ultima riunione trimestrale del Politburo, l’ufficio politico del Comitato Centrale, che a fine luglio ha elencato i settori e i temi più importanti da riformare. Nota soprattutto per la decisione di epurare l’ex capo di Chongqing, Sun Zhengcai, il caso di corruzione di più alto profilo di quest’anno, questa riunione aveva come tema quello di “cercare il progresso mantenendo la stabilità” e come obiettivo di “rafforzare il settore finanziario per servire meglio l’economia reale”. I dati positivi dell’economia, che nei primi sei mesi hanno registrato una crescita superiore del 6,9%, avviandosi a superare il risultato dello scorso anno (+6,7%), si scontrano con obiettivi difficili. Questi riguarderanno sia la seconda parte del 2017 sia, più in generale, il futuro del Paese: la riduzione della sovrapproduzione industriale e i rischi del settore finanziario. Il livello del debito delle aziende ha raggiunto il 175% del pil. Gran parte di questi problemi derivano dal settore immobiliare.
Dagli Usa alla Corea del Nord, capire l’approccio cinese in politica estera nei prossimi anni
Il Congresso sarà poi l’occasione per fare il punto sulla situazione del Paese con un rapporto che verrà presentato dallo stesso Xi, in qualità di segretario generale del partito. Il rapporto, scrive il Global Times, “servirà come linea guida per il Pcc nei prossimi anni. Qualsiasi nuova espressione indicherà importanti direzioni politiche del Paese. Il rapporto avrà un’importanza fondamentale sulle strategie nazionali della Cina e sulle vite delle persone”.
Dal rapporto di Xi si prevedono non solo indicazioni sul futuro della Cina, ma anche sull’approccio ai temi internazionali a fronte del nuovo scenario globale, nel quale Pechino punta a un ruolo sempre più di primo piano. Uno contesto dominato anche da incertezze più volte richiamate negli interventi pubblici, soprattutto da parte del primo ministro, Li Keqiang. Il riferimento, nei mesi scorsi, è spesso andato all’amministrazione statunitense guidata da Donald Trump e alla Brexit. Ai due fattori principali di incertezza per le leadership cinese, si aggiunge, oggi, anche la tensione nella penisola coreana, dopo i ripetuti lanci missilistici di Pyongyang che destabilizzano gli equilibri regionali in Asia orientale .
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