Bears Ears e Grand Staircase-Escalante, due tra i più famosi “monumenti nazionali” dello Utah, sono condannati a una drastica dieta dimagrante. A emettere la sentenza è il presidente Usa, Donald Trump, che ha stabilito che i due siti nazionali dovranno rinunciare rispettivamente all’85% e al 50% della propria estensione territoriale. In tutto, riporta il New York Times, la superficie da espropriare è di 2 milioni di acri (circa 8mila di chilometri quadri), la cifra più alta mai stabilita, all’interno dei quali vivono alcune tribù indigene.
Una battaglia già annunciata
La mossa, che va nella direzione opposta a quella della precedente amministrazione Obama che aveva rafforzato le misure di tutela dell’ambiente, è destinata a scatenare una vera e propria battaglia condotta dai rappresentanti delle tribù native americane e dagli attivisti per la protezione delle terre americane. Entrambi preoccupati che interi appezzamenti di terreno, fino a oggi preservati dall’incuria dell’uomo, possano essere trasformati in siti di estrazione di gas e petrolio. E sono molti a considerare la nuova direttiva di Trump come una vittoria dei legislatori repubblicani e delle società di combustibili fossili. “Quale sarà il prossimo (sito, ndr), presidente Trump? Il Gran Canyon?”, ha chiesto provocatoriamente Rhea Suh, presidente del Consiglio per la difesa delle risorse naturali. “Alcune persone ritengono che le risorse naturali dello Utah dovrebbero essere controllate da una manciata di burocrati di Washington. E indovinate? Sbagliano. Insieme daremo inizio a un futuro fatto di grande benessere”, ha dichiarato Trump.
La mossa di Trump piace ai conservatori
Appena un anno fa, Barack Obama aveva inserito Bears Ears tra i monumenti naturali. Grand Staircase-Escalante era entrato nella lista nel 1996 su iniziativa dell’allora presidente Bill Clinton. Ma non a tutti sono piaciute queste iniziative. I legislatori più conservatori sostengono che la mossa di Trump è la risposta più appropriata a decenni di eccessi a livello federale che hanno limitato l’autonomia e il gettito delle comunità. Ciò avvenne – sostengono – soprattutto dopo l’intervento di Clinton al Grand Staircase che bloccò i progetti di nuove miniere di carbone che avrebbero portato nuovi posti di lavoro alle popolazioni locali.
I diritti di un “monumento nazionale”
I monumenti nazionali sono terre protette da sfruttamento e sviluppo. Sono molto simili ai parchi nazionali ma, mentre questi ultimi sono creati dal Congresso, i monumenti nazionali nascono su iniziativa del presidente che si basa sull’ Antiquities Act del 1906. Democratici e repubblicani, in egual misura, si sono spesso serviti di questa legge per proteggere milioni di ettari di suolo pubblico e la considerano come una delle eredità più preziose nel campo della conservazione americana. Ogni monumento poi ha le sue specifiche restrizioni. Al Bears Ears, per esempio, le leggi federali proibiscono di effettuare nuove trivellazioni e scavi, ma è permesso affittare prati destinati al pascolo. Finora, sostiene Trump, che ha già firmato il provvedimento, i presidenti hanno abusato di quella legge. E così, sostiene, è arrivato il momento di rimettere ordine: già ad aprile Trump aveva firmato un documento che gli dà mandato di revocare lo status per 27 parchi-monumento. L’intenzione è quella di porre fine ad “un altro clamoroso abuso da parte del governo federale”, e di voler “restituire il potere agli stati e al popolo cui appartiene”.
I precedenti
Trump non è il primo ad aver imposto un taglio alla quantità di terreni protetti. Il New York Times ricorda almeno altri due casi: Woodrow Wilson, che nel 1915 ridusse alla metà il monte Olympus, nello stato di Washington. E, anni dopo, Franklin Roosevelt che fece lo stesso – ma in misura meno evidente – con il Gran Canyon.