Chi ha in agenda un viaggio in Nuova Zelanda deve sapere che alcune regole sono cambiate. Arrivati alla dogana, in fase di arrivo o partenza, si può essere fermati con la richiesta di consegnare il proprio smartphone e la password di sblocco. E davanti al rifiuto di comunicare il famoso PIN, si può ricevere una multa fino a 5 mila dollari locali (3 mila e 200 euro). Tutto questo è previsto in una nuova misura inserita all’interno della legge nazionale sulle dogane e sulle accise, entrata in vigore da pochi giorni, che permette ai controllori di richiedere alcune informazioni particolarmente sensibili come password o chiavi di crittografia.
Cosa dice la norma
Il testo della legge non lascia adito a dubbi: “Se non esiste un motivo ragionevole per non aver consegnato le password si commette un reato punibile con una multa fino a 5 mila dollari”. Ci devono essere, tuttavia, determinate condizioni per una richiesta di questo tipo. I funzionari adibiti al controllo devono avere il forte sospetto che quella determinata persona stia violando le leggi doganali o stia commettendo crimini gravi. Lo sguardo delle forze dell’ordine, una volta “entrato” all’interno degli smartphone, è limitato a tutte quelle informazioni che sono registrate localmente nel dispositivo e che sono consultabili in modalità aereo. Tutto quello che viene conservato in piattaforme come Google Drive, o salvate tramite servizi come iCloud, non saranno oggetto di analisi. Un’operazione simile a quando viene chiesto di aprire la propria valigia per verificarne il contenuto insomma ma con alcune implicazioni etiche importanti.
L'opposizione protesta
La nuova legge è fortemente criticata dai gruppi parlamentari di destra che si oppongono al governo guidato dal primo ministro laburista Jacinda Arden. Il presidente del Consiglio neozelandese per le libertà civili, Thomas Beagle, ha ribadito come “gli smartphone moderni contengono una grande quantità di informazioni private altamente sensibili, tra cui e-mail, lettere, cartelle cliniche, foto personali e foto molto personali”. La presa in esame di tutti questi dati è, in questo senso, “una grave invasione della libertà di ciascun individuo”. La risposta è arrivata da John Edwards, commissario alla privacy del governo, che ha invece sottolineato come la legge tenga conto di questo problema e come, in realtà “esista un equilibrio tra la richiesta e quello che, effettivamente, diventa oggetto d’indagine”.