Notte e nebbie, cristalli spezzati, urla nel silenzio: 80 anni fa il buio prende il sopravvento sulla Germania, fino a pochi anni prima uno dei Paesi più colti ed avanzati d’Europa. È, letteralmente, l’inizio della fine: con la Notte dei Cristalli gli ebrei tedeschi ed europei imboccano la via dell’Inferno. La Shoah inizia per le strade di Berlino, Lipsia, Duesseldorf per culminare, anni dopo, nei camini di Auschwitz.
Spesso quell’ondata di violenze indiscriminate per tutta la Germania (ma anche nei Sudeti appena annessi al Reich e nella stessa Austria da poco vittima dell’Anschluss) viene definita un enorme pogrom, come le esplosioni di violenza antisemita ricorrenti nei villaggi della Russia zarista. Ma se le forme sono quelle, non lo sono più le cifre.
I pogrom erano esplosioni di collera sanguinaria, il più delle volte molto circoscritta ed estemporanea. La Notte dei Cristalli fu il frutto di un piano costruito a tavolino, in scienza e coscienza, pronto per essere messo in atto alla prima occasione utile. Lo dimostrano le dimensioni e il bilancio delle spedizioni punitive: 1.500 morti, 1.200 sinagoghe distrutte o date alle fiamme, quasi mille negozi devastati. Trentamila ebrei rastrellati e spediti chi a Sachsenhausen, chi a Buchenwald.
“Che gli ebrei conoscano la collera dei tedeschi”
La mattina del 9 novembre 1938 Adolf Hitler si trova a Monaco, a celebrare il quinto anniversario del fallito Putsch della Birreria, quando a capo di un manipolo di nazisti tentò di impossessarsi del governo della Baviera. Era finita in un golpe da operetta, con lui arrestato e condannato. In cella aveva scritto la sua bibbia dell’odio, quel Mein Kampf in cui teorizzava tutto quello che avrebbe puntualmente fatto una volta al potere.
Durante la cerimonia di commemorazione lo raggiunge una notizia: a Parigi uno studente ebreo, un certo Herschel Grynszpan, ha ucciso un diplomatico del Reich, Eduard vom Rath. “Lasciate che gli ebrei imparino cos’è la collera dei tedeschi”, ordina, e subito decine di suoi uomini si precipitano al telefono a dare istruzioni ai loro sottoposti.
Per chi suona il violino di Heydrich
Il progetto, e sicuramente la supervisione delle operazioni, è di Reinhard Heydrich, numero due delle Ss, responsabile della sicurezza del Reich, comandante in capo della Gestapo. Un esperto suonatore di violino che a 28 anni aveva avuto bisogno di una manciata di minuti e niente più per stilare, di fronte ad un Himmler stupefatto, i punti chiave della riforma dei servizi segreti nazisti.
Cosa avvenne sotto i suoi ordini lo raccontano i resoconti dei diplomatici stranieri: giovani “ben vestiti e disciplinati, in abiti civili, si sono radunati all’esterno dei negozi degli ebrei e dei loro luoghi di culto”. Ad un segnale scatta l’attacco: le porte delle sinagoghe e le vetrine “sono forzate e aperte, Stanze e arredamento sono bagnati con la benzina e dati alle fiamme. Copie della Torah ed oggetti sacri sono fatti bruciare”. Troppa sincronia, troppa preparazione ed efficacia per pensare che si tratti di un pogrom tradizionale. Heydrich il violinista sta facendo le prove generali per la Soluzione Finale, che non vedrà se non in parte: morirà nel 1942 per i postumi di un attentato in Boemia.
Il cielo rosso sopra Berlino
Dopo la prima ondata di violenze una seconda, e poi ancora una terza: di fatto il sacco dei beni degli ebrei dura tre giorni almeno. Dalla sua finestra un Goebbels compiaciuto racconta di poter vedere, dopo il crepuscolo, il cielo di Berlino divenire rosso per le fiamme della sinagoga della Fasanenstrasse, la più importante della città. Pochi isolati più in là, sulla Bebelplatz, il nazismo aveva esordito con il suo primo rogo dei libri. Chi brucia i libri prima o poi brucia anche gli uomini.
La grande fuga
Finiti gli incendi inizia la fuga dalla Germania: migliaia di ebrei assiepano i consolati e le ambasciate straniere nelle principali città del Reich, chiedendo un visto o una lettera che permetta di oltrepassare la frontiera. Chi ci riesce salva la vita, soprattutto se sale su un traghetto per l’America, come un giovane che avrebbe fatto strada molto tempo dopo: Heinz Kissinger, che non vorrà mai più parlare tedesco e si farà chiamare Henry. Molti altri, meno fortunati, vanno a stipare le baracche dei Lager creati, all’inizio, per gli oppositori politici, gli omosessuali e gli handicappati. Seguiranno gli zingari e i testimoni di Geova.
Come spesso capita, un nome da solo non basta a far capire. Anche Kristallnacht, “Notte dei cristalli”, è una definizione in sé insufficiente: si riferisce sì alle vetrine dei negozi mandate in frantumi, ma non rende il senso della tragedia incombente sulla Germania e sul resto d’Europa. Soprattutto non riesce a spiegare come, quella notte, l’intera civiltà costruita nel corso dei secoli nel Vecchio Continente abbia potuto dimostrarsi fragile come una lastra di cristallo.
Un giorno lungo un secolo
La Germania, quel 9 novembre, sprofondò nelle tenebre. Venti anni prima, il 9 novembre 1918, con la fuga del Kaiser Guglielmo II in Olanda aveva conosciuto l’umiliazione. Uscita dal biennio rosso, la Repubblica di Weimar aveva sperimentato il 9 novembre del 1923 il primo assalto della destra nazista e xenofoba. Sarebbe uscita da un incubo lungo quasi un secolo solo nel 1989, con il crollo del Muro di Berlino. Anche lì un 9 novembre. Il giorno in cui in Germania tutti devono ricordare e ritrovare la propria anima.