Donne usate come schiave sessuali, le loro etnie umiliate. Lo stupro usato come arma di pulizia etnica, la forma più bassa di odio razziale. Tutto questo emerge dalle storie del Nobel per la Pace assegnato in Norvegia.
Come il genocidio
Gli stupri di guerra sono usati come arma psicologica da soldati, combattenti, milizie, ma anche da civili, durante i conflitti e comprendono anche i casi in cui le donne sono costrette a prostituirsi o a diventare schiave sessuali. Violenze spesso sistematiche e associate ai massacri. Lo stupro di guerra e la schiavitù sessuale sono riconosciuti dalle convenzioni di Ginevra come crimini contro l'umanità e crimini di guerra. Lo stupro oggi è anche affiancato al crimine di genocidio quando commesso con l'intento di distruggere, in parte o totalmente, un gruppo specifico di individui.
Nell'est del Congo, la prevalenza e l'intensità dello stupro e di altre violenze sessuali sono descritte come le peggiori del mondo. In Iraq e in Siria l’Isis ha pianificato e messo in pratica la schiavitù di centinaia di donne yazide.
Gli Yazidi, vittime di tutti gli eserciti
La minoranza yazida, di cui fa parte il Nobel per la pace Nadia Murad, è stata a lungo una delle minoranze più vulnerabili in Iraq ed è stata in particolare vittima delle atrocità dei jihadisti del sedicente Stato islamico (Isis).
Gli yazidi rappresentano una minoranza curda che si è stabilizzata negli angoli più remoti delle montagne del Kurdistan iracheno, nel nord dell'Iraq, ed è seguace di un monoteismo esoterico e sincretistico: traggono le origini della loro fede nel mazdeismo nato in Iran quasi 4 mila anni fa e nel culto di Mitra; ma nel tempo, hanno integrato elementi di Islam e Cristianesimo. Privi di un libro sacro e organizzati in casta, pregano in direzione del sole e adorano sette angeli il cui capo è Melek Taous ("l'angelo-pavone"). La tradizione Yazidi proibisce il matrimonio al di fuori della comunità e introduce altre restrizioni a seconda della casta.
“Sono adoratori del diavolo”
Le credenze e le pratiche degli yazidi - come il divieto di mangiare lattuga e indossare il blu - sono considerate dai loro detrattori come sataniche; ecco perché gli yazidi sono stati etichettati, da alcuni, come "adoratori del diavolo". Come iracheni non arabi e non musulmani, sono stati a lungo una delle minoranze più vulnerabili del Paese. Migliaia di famiglie sono fuggite dal Paese a causa delle persecuzioni durante la dittatura dell'ex presidente Saddam Hussein.
La Costituzione irachena del 2005 ha riconosciuto il loro diritto di culto e ha riservato posti per loro all'Assemblea nazionale e al Parlamento autonomo curdo. Nell'agosto 2007, gli yazidi hanno un terribile attacco quando enormi camion bombe hanno distrutto due dei loro villaggi e ucciso oltre 400 persone.
Le persecuzioni dell’Isis
Nell'agosto 2014, il destino degli yazidi è stata sconvolto quando l'Isis conquista un terzo del Paese, compresa la storica dimora degli yazidi sulle montagne di Sinjar (nel nord). I jihadisti uccisero uomini, assoldarono i bambini e condannarono migliaia di donne ai lavori forzati e alla schiavitù sessuale. Secondo il ministero degli affari religiosi della Regione autonoma del Kurdistan iracheno, più di 6.400 yazidi sono stati rapiti dall'Isis. Di questi, circa 3.200 sono stati liberati o sono fuggiti.
Dei 550 mila yazidi in Iraq prima della svolta jihadista, quasi 100 mila hanno lasciato il Paese.
Nel marzo 2015, gli investigatori delle Nazioni Unite hanno stimato che gli attacchi dell'Isis in Iraq contro gli yazidi potrebbero costituire un "genocidio".
La schiava fuggitiva
Nadia Murad Basee Taha, premio Nobel per la Pace 2018, nasce nel 1993 a Kocho, nel Sinjar iracheno. Viene rapita nell'agosto 2014, a 21 anni, dagli uomini del sedicente Stato islamico, dopo il massacro di tutti gli uomini del suo villaggio.
In quella strage perde sei dei suoi fratelli e la madre, uccisa insieme ad altre 80 donne anziane perché ritenute prive di alcun valore sessuale. Lei, invece, viene portata via e sfruttata come schiava sessuale, sottoposta a innumerevoli abusi: tre mesi d'inferno, dai quali a novembre riesce a fuggire grazie all'aiuto di una famiglia vicina che di nascosto la porta al di là della zona controllata, permettendole di raggiungere prima un campo profughi nell'Iraq settentrionale e poi la Germania.
Di fronte alle Nazioni Unite
Nel dicembre 2015 Murad prende la parola dinanzi al Consiglio di sicurezza dell'Onu nel corso della prima sessione in assoluto dedicata alla tratta di esseri umani, e pronuncia un forte discorso sulla propria esperienza. Nel settembre 2016, a 23 anni, diventa il primo Ambasciatore di buona volontà delle Nazioni Unite per la dignità dei sopravvissuti alla tratta di essere umani. Il Consiglio d'Europa le conferisce il premio per i diritti umani Vaclav Havel.
Il 27 ottobre 2016 riceve, insieme Lamiya Aji Bashar (un'altra attivista yazida) il Premio Sakharov per la libertà di pensiero. Il 3 maggio 2017 realizza il suo desiderio di incontrare Papa Francesco, al termine dell’udienza generale del mercoledì.
Cinquantamila ragazze congolesi
Denis Mukwege, il medico congolese 63enne, l’altro vincitore del Premio Nobel per la Pace 2018, ha prestato assistenza fisica e psicologica a oltre 50 mila ragazze e donne congolesi vittime di violenza sessuali. Mukwege è stato "il simbolo più importante e unificante a livello nazionale e internazionale della lotta per porre fine alla violenza sessuale in guerra e nei conflitti armati", ha scritto l'Accademia norvegese nella motivazione del Nobel.
L’attività di Mukwege, di base al Panzi Hospital di Bukavu, capoluogo del Sud Kivu, nell’est del Congo è cominciata nel 1999 e viene portata avanti tra mille difficoltà quotidiane in una regione storicamente instabile, mettendo a rischio anche la propria vita. A Panzi le donne ricevono assistenza medica, psicologica, giuridica ed economica. Migliaia di sopravvissute vengono poi sostenute da programmi terapeutici finanziati dall’Onu e da donatori privati per aiutarle a riconquistare l'autonomia.
Un modello che si espande
Il modello sviluppato dal ginecologo congolese a Bukavu si sta facendo strada in altri paesi africani, come Guinea e Burkina Faso. Con il sostegno di Mukwege, specializzato in ginecologia in Francia, una clinica è già stata costruita a Nakamtenga, 30 km da Ouagadougou. Una sfida enorme considerato che, secondo l’Onu, nel mondo una donna su tre ha subito o subirà violenze fisiche o sessuali.
L’impunità dei carnefici
Fuori dai confini congolesi il noto ginecologo che ha seguito le orme del padre, un pastore evangelico, è diventato il portavoce di una battaglia ben più ampia che riguarda i diritti delle donne, non solo quelle del suo paese. Dal Parlamento europeo - che nel 2014 gli ha assegnato il Premio Sakharov - ai principali consessi internazionali, Mukwege non si stanca mai di denunciare i crimini subiti dalle donne, così come responsabilità, complicità e impunità di cui godono i carnefici. Dopo 5 anni di attesa, un processo è stato avviato il 9 novembre 2017 a Kavumu, località del Sud Kivu ribattezzata "il villaggio dell’orrore", dove tra il 2013 e i 2016 miliziani hanno stuprato una quarantina di bambine tra 18 mesi e 10 anni di età. L’apertura del processo è stata accolta come una piccola vittoria per Mukwege e tutte quelle ong che seguono il caso.