AGI - In 25 anni, sotto la guida di Vladimir Putin, "la Russia ha fatto molta strada: dall'essere sull'orlo dell'abisso al diventare uno Stato sovrano". È il sintetico ma significativo bilancio di un quarto di secolo di potere fatto dal portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, e che spiega la lettura che Mosca fornisce alla parabola politica dell'uomo che in 25 anni ha trasformato la Russia post sovietica in un regime semi totalitario.
Elezione di Putin
Esattamente 25 anni fa, il 26 marzo 2000, i russi eleggevano presidente per la prima volta l'ex agente del Kgb Vladimir Putin, che arrivava alla carica più alta del Paese dopo solo pochi mesi trascorsi in politica. A quel tempo la Russia stava subendo le conseguenze del default ed era sommersa di debiti. L'inflazione era al 36,5%, la disoccupazione al 13%. Un russo su tre viveva al di sotto della soglia di povertà, ricorda oggi l'agenzia statale Tass. I candidati alle urne erano 11, ma già all'inizio della campagna elettorale, Putin era il candidato numero 1 dopo che - quando era ancora premier - era stato nominato capo di Stato ad interim dal predecessore Boris Eltsin, nel drammatico discorso alla nazione del 31 dicembre 1999. Con un'affluenza alle urne del 68,7%, quel 26 marzo votò per Putin il 52,9% degli elettori.
Stabilità politica
Da allora, l'ex 007 originario di Leningrado e che aveva prestato servizio a Dresda nella Ddr, non ha mai di fatto lasciato la guida della Russia e i suoi elettori gli riconoscono la conquistata stabilità politica, la crescita economica, un più diffuso benessere e la ritrovata postura da grande potenza. Anche se tutto al prezzo di sempre minore libertà.
Dittatura personalizzata
Nel corso di questi 25 anni, Putin ha trasformato il suo Paese nella "più forte dittatura personalizzata del mondo", ha affermato il politologo russo Mikhail Komin. Lo ha fatto perché ha gradualmente e costantemente minato tutte le istituzioni politiche russe e diventando anche l'archetipo per un nuovo modello di politica mondiale come ha scritto il giornalista del Financial Times Gideon Rachman nel suo libro 'The Age of The Strongman' (2022). Rachman, non a caso, fa partire l'"epoca dell'uomo forte" col 31 dicembre 1999: Putin è stato d'ispirazione a una generazione di leader autoritari che ne ammirano il nazionalismo, la retorica aggressiva, il conservatorismo, il disprezzo del "politicamente corretto", il suo porre al centro i diritti del popolo e non dell'individuo in polemica con le democrazie liberali.
Modello putiniano
Nel solco del modello putiniano, Rachman inserisce nel suo libro politici nati in contesti molto diversi: da Recep Tayyip Erdogan in Turchia a Xi Jinping in Cina e Narendra Modi in India. Ma il modello putiniano di uomo forte ha attecchito anche in democrazie più strutturate, come Israele con Benjamin Netanyahu, il Regno Unito con Boris Johnson fino agli Stati Uniti con Donald Trump. "La cancellazione di una chiara distinzione tra leadership democratica e autoritaria è stata per decenni l'obiettivo chiave degli uomini forti", avvertiva Rachman. Un'affermazione mai come oggi attuale.