AGI - "Non è sicuro che il 2025 sia un anno di svolta per il conflitto in Ucraina: il presidente Usa, Donald Trump, ha fretta di chiudere, ma i negoziati con i russi non sono ancora entrati nel vivo" e bisogna aspettare di capire quale sarà il punto di caduta dei necessari compromessi che tutte le parti dovranno fare. È l'analisi dell'ex ambasciatore italiano a Kiev, Pier Francesco Zazo, che ha rilasciato all'AGI un'intervista in occasione del terzo anniversario dell'invasione russa dell'Ucraina, in cui delinea i possibili sviluppi della situazione alla luce del dialogo diretto Mosca-Washington e della svolta di 180 gradi dell'amministrazione repubblicana sul sostegno a Kiev. Zazo - che era nella capitale ucraina il primo giorno dell'aggressione russa e vi è rimasto fino all'estate scorsa - ha un'esperienza anche nella sede diplomatica di Mosca; ci tiene a sottolineare che in questa "delicata fase" il prossimo passaggio chiave sarà vedere cosa contiene quello che definisce "accordo capestro" tra Usa e Ucraina sullo sfruttamento congiunto delle terre rare.
Un'intesa che, proprio oggi la vice prima ministra per l'integrazione europea ed euro-atlantica dell'Ucraina, Olga Stefanishyna, ha riferito si trova nella sua "fase finale". Trump, "non ha un piano articolato per la pace in Ucraina, ma vuole rapidamente concludere un accordo" con l'omologo russo Vladimir Putin, presumibilmente poiché considera la Cina il vero avversario sistemico degli Stati Uniti. "A decidere per la fine della guerra, però, sarà più Putin che Trump: il leader del Cremlino capisce solo il linguaggio della forza, non ha fretta a differenza del presidente americano e solo quando sentirà di non essere più in grado di vincere o di ottenere ulteriori guadagni territoriali e concessioni da Trump potrebbe accettare un compromesso", spiega Zazo.
"Trump", analizza l'ex ambasciatore, "da un lato è disponibile a fare concessioni a Mosca, affinché Putin sia convinto ad accettare la tregua e dall'altro esercita una forte pressione sulla parte più debole, l'Ucraina, minacciando l'eventuale sospensione degli indispensabili aiuti militari". Il presidente Usa, "segue inoltre anche un approccio affaristico, laddove preme sul presidente Volodymyr Zelensky, affinché firmi un accordo sullo sfruttamento congiunto delle terre rare quale rimborso per gli aiuti dati".
"Resta, tuttavia, ancora da verificare se in cambio della firma dell'intesa da parte di Zelensky, gli Stati Unti siano disponibili a fornire credibili garanzie di sicurezza e dare aiuti militari", avverte Zazo. "Se fosse così, gli americani avrebbero anche un interesse economico per chiedere a Putin di accettare una tregua sull'attuale linea del fronte, tanto piu' che la maggior parte delle terre rare sono nei territori sotto il controllo russo".
"Per l'Ucraina, il rischio del disimpegno americano dal conflitto minacciato da Trump è reale; pertanto, in questa difficile fase chiede il sostegno degli alleati europei", prosegue il diplomatico, delineando come "più credibile scenario" quello in cui Kiev riceve adeguati aiuti militari dagli alleati per rafforzare la sua capacità di deterrenza e scongiurare future aggressioni nonché l'invio di adeguate forze di peacekeeping internazionali una volta firmata la tregua".
Si tratterebbe di applicare il cosiddetto "modello porcospino", sottolinea, "simile a quello di Israele e Corea del Sud che dispongono di forze armate moderne e grandi capacità di autodifesa pur non essendo, membri dell'Alleanza Atlantica". Dal canto suo, Mosca ancora non ha dichiarato che concessioni è pronta a fare ma è chiaro che "l'obiettivo del Cremlino rimane immutato: riportare l'Ucraina sotto il controllo russo realizzando il sogno messianico e revanchista di Putin di ricreare un impero e di restituire alla Russia lo status di potenza mondiale eurasiatica". Zazo ricorda che in questa ottica l'esistenza di uno Stato ucraino indipendente non è concepibile per Putin, "convinto sostenitore del mito fondamentalista del 'mondo russo', in base al quale i russi e gli ucraini sono un unico popolo".
"Bisogna capire se Washington cederà o meno alle ulteriori richieste di Putin, che non può accontentarsi di un cessate il fuoco lungo l'attuale linea del fronte, ma vuole per intero le quattro regioni annesse nel 2023 e potrebbe insistere per la smilitarizzazione dell'Ucraina al fine di riprenderne successivamente il controllo".
"Gli ucraini sono ormai rassegnati al fatto che non entreranno nella Nato", ammette l'ex ambasciatore nel giorno in cui anche il consigliere per la Sicurezza nazionale Usa, Michael Waltz, ha ribadito che l'adesione di Kiev alla Nato "non è sul tavolo". A Kiev "sono pronti ad accettare la perdita dei territori occupati, ma insisteranno per chiedere dagli americani credibili garanzie di sicurezza almeno sotto forma del prosieguo degli aiuti militari".
"Se non le otterranno, continueranno a combattere confidando sull'aiuto degli europei e sapendo di non avere alternative perché non si fidano del regime di Putin". Secondo l'ex ambasciatore, "gli ucraini soprattutto non accetteranno mai un'eventuale smilitarizzazione poiché certificherebbe la resa incondizionata del Paese".
"Il percorso più credibile per arrivare auspicabilmente a una tregua che sarebbe comunque fragile", conclude il diplomatico, "sarebbe quello basato sul raggiungimento di un compromesso: Mosca dovrebbe accontentarsi dei territori già occupati e del suo veto all'ingresso nella Nato, ma l'Ucraina dovrebbe perlomeno ricevere adeguati aiuti militari dagli alleati occidentali per rafforzare la sua capacita' di deterrenza militare".