AGI - Nel cuore dell'Africa, il destino di migliaia di lavoratori tessili della fabbrica di jeans Wrangler e Levi's è appeso a un filo: alla decisione del presidente Donald Trump sull'eventuale proroga dell'Agoa, in scadenza a settembre. L'African Growth and Opportunity Act (Agoa), un accordo durato 25 anni, garantisce ad alcuni prodotti africani l'accesso al mercato statunitense in esenzione da dazi. I jeans 'Made in Africa' vengono realizzati in una fabbrica situata alla periferia di Nairobi, capitale del Kenya, nel rispetto di una rigorosa tradizione americana e i capi sono destinati a catene come Walmart e JC Penny negli Stati Uniti. L'esportatore di abbigliamento United Aryan deve la sua esistenza proprio all'Agoa, ora a rischio. Dalla decisione che prenderà il presidente Trump dipenderà in generale il sostentamento di milioni di africani, tra cui le migliaia di dipendenti della United Aryan. Ogni anno dalla fabbrica vengono spediti negli Stati Uniti fino a 8 milioni di paia di jeans, oltre a milioni di camicie e altri articoli. Un operaio medio addetto alla catena di montaggio guadagna l'equivalente di circa 190 euro al mese. "Abbiamo 150.000 persone che dipendono da noi direttamente o indirettamente", afferma l'amministratore delegato Pankaj Bedi, sottolineando che il suo stabilimento "ha stabilizzato l'intera situazione socio-economica della regione".
La zona era pericolosa prima che la United Aryan iniziasse le operazioni produttive nel 2002. "Le gang avevano rubato tutto, perfino i cavi di rame. Oggi le nostre famiglie sono felici, i nostri figli vanno a scuola, la criminalità è diminuita", ha testimoniato Norah Nasimiyu, 48 anni, rappresentante dei lavoratori della di jeans. Ogni giorno migliaia di persone si radunano davanti ai cancelli della fabbrica, nella speranza di sostituire gli assenti tra i circa 10.000 dipendenti.
La fabbrica ha già dovuto affrontare sfide serie: nel 2005, l'abolizione del regime di quote che aveva regolamentato il commercio tessile per decenni ha inondato i mercati con abiti asiatici. La crisi finanziaria del 2008 e la pandemia di Covid-19 l'hanno poi quasi bloccata. Oggi la fabbrica è appesa alla risposta a una domanda: gli Stati Uniti rinnoveranno o meno l'Agoa? Senza il vantaggio del duty-free, gli acquirenti statunitensi si rivolgeranno sicuramente a soluzioni più economiche in Asia, voltando le spalle all'Africa. Mentre repubblicani e democratici sembravano favorevoli a estendere gli accordi durante i negoziati dell'anno scorso, la loro sopravvivenza sembra ora minacciata dal ritorno di Trump alla Casa Bianca, dalla sua posizione apertamente scettica sul libero scambio e dalla sua linea dura in materia di dazi.
Gli Stati Uniti traggono vantaggio dalla manodopera più economica in Africa, soprattutto nel settore tessile, sensibile ai costi, secondo Bedassa Tadesse, professore di Economia presso l'Universita' del Minnesota a Duluth. "Ma siamo arrivati a un punto in cui le decisioni di politica commerciale non si basano più esclusivamente sull'analisi costi-benefici", ritiene il docente. Tuttavia una speranza c'e': Trump potrebbe considerare l'Agoa come un mezzo per contrastare l'influenza cinese in Africa. "Si tratta di uno strumento molto importante nelle relazioni tra Stati Uniti e Africa, soprattutto ora che abbiamo appena perso praticamente tutto il nostro soft power smantellando l'Usaid", evidenzia Witney Schneidman, esperto Agoa presso il think tank della Brookings Institution. Ma "si tratta di un piccolo cambiamento nella visione del mondo di Trump", ben lungi dall'essere una priorità, secondo lui. Serrate trattative sono in corso per United Aryan, all'interno della Kenya Manufacturing Association. "In America non si puo' produrre quello che produciamo noi", sottolinea l'amministratore delegato Pankaj Bedi. Il tempo stringe e l'impianto alle porte di Kenya e i suoi clienti devono conoscere la sorte dell'Agoa entro fine marzo, in modo da poter pianificare la stagione successiva, altrimenti le linee di produzione si fermeranno. Gli acquirenti hanno iniziato a farsi prendere dal panico, ma "abbiamo assicurato loro che tutto sarebbe andato bene.Incrociamo le dita!", ha concluso Bedi.