AGI - Meloni ha le carte (e i numeri) per diventare la leader europea che rabbonisce Donald Trump e lo porta a più miti consigli, soprattutto sui dazi che “sono tasse, in primis, sui cittadini americani”. A dirlo non è un uomo qualunque ma Grover Norquist, fondatore e capo di Americans for Tax Reform (Atr), la potentissima associazione conservatrice americana che dal 1985 si oppone per principio agli aumenti di tasse. Il mantra dell’Atr è la riduzione delle entrate governative in percentuale del Pil americano. E da quando Norquist ha assunto la leadership dell’Atr questo è diventato anche il dogma del partito repubblicano tanto che non c’è più stato (da Reagan in poi) un presidente Usa del Grand Old Party che non abbia sottoscritto il suo patto sulle tasse (il “Taxpayer Protection Pledge”) in campagna elettorale per assicurarsi la Casa Bianca.
“Grazie alla vicinanza ideologica e personale che unisce il presidente Trump e la premier Meloni, l’Italia si trova in una posizione strategica unica per evitare una guerra sui dazi ed eventualmente per rilanciare un accordo commerciale tra Stati Uniti e Unione Europea”, spiega Norquist ad AGI. Senza dubbio, aggiunge, un accordo di questo tipo “passerebbe alla storia diventando la ‘legacy’, il lascito politico, per entrambi”.
Norquist è appena sbarcato nella Capitale per una tre giorni di meeting, in particolare per un seminario a porte chiuse sull’agenda economica di Trump, organizzato dall’Istituto Affari Internazionali.
Come già avvenuto in passato (non è la sua prima visita a Roma) il leader dell’Atr incontrerà esponenti del centro-destra e thinktankers: “c’è molto interesse anche in Italia per i cambiamenti che sta introducendo la nuova Amministrazione e ho intenzione di spiegare quello che sta succedendo in America ma anche dire che l’Italia di Giorgia Meloni ha un’opportunità di diventare un ”horse whisperer” (letteralmente, l’”Uomo che sussurrava ai cavalli”) dell’America trumpiana”. Senza arrivare a scomodare Hollywood e il celebre blockbuster, Norquist tratteggia la figura del suggeritore-ammaestratore che potrebbe ammansire il cavallo ‘focoso’ della Casa Bianca e aprire con qualche successo un canale di dialogo utile per tutti: Stati Uniti e Europa. Una metafora suggestiva per suggerire una via negoziale ed evitare così la temuta guerra commerciale tra le due sponde dell’Atlantico all’indomani dei rincari annunciati da Pechino in risposta ai dazi americani su acciaio e alluminio cinesi.
“Eliminare il Digital Markets Act (Dma) e il Digital Service Act (Dsa)” ovvero i due pilastri della nuova normativa Ue sulle piattaforme digitali per contenere le Big Tech, “così come eliminare la global minimun tax (la Gmt per le multinazionali) - ipotizza Norquist - sarebbe un modo per avviare un dialogo costruttivo tra Stati Uniti ed Unione Europea e che mi auguro possa portare ad un accordo commerciale”.
Anche altri fronti serviranno a puntellare un’intesa italo-americana sempre più solida: “Tutti pensano che siano i britannici i nostri amici fraterni – prosegue Norquist – ma il concetto stesso di relazione speciale tra i due Paesi fu coniato nel Regno Unito. In Italia spiegherò che gli interessi americani si sono trasformati già dagli inizi degli anni 2000 e che per Trump ciò che è politico e personale e ciò che è personale è politico. In questo momento lui si trova bene, personalmente e politicamente, con il vostro presidente del Consiglio, quindi si sente più vicino all’Italia, che con Meloni è impegnata su migranti e difesa, piuttosto che a Germania, Francia e Inghilterra”. Secondo Norquist, infatti, la ‘memoria’ di Trump è soprattutto legata alla storia recente. In altre parole, al suo primo mandato presidenziale e ai paesi con cui lavorò bene allora.
“Se avesse bisogno di chiamare qualcuno in Europa - prosegue – chiamerebbe l’Italia, anche perché l’Ungheria è un Paese piccolo e con una capacità di influire sugli altri Paesi membri quasi vicina a zero”. Inoltre, quando Washington sarà nel pieno dei negoziati con Russia e Ucraina, secondo il leader di Atr, Trump avrà bisogno di un Paese che, come l’Italia, “prende seriamente la Nato ed è cosciente del problema che rappresenta la Russia di Putin”.