AGI - Ostinato, umano, infaticabile negoziatore, al fianco dei più deboli, ecologista, campione dei diritti civili. L’addio di Jimmy Carter, scomparso il 29 dicembre, all’età di cento anni, richiamerà l’immancabile litania di definizioni, tutte meritate, pietre miliari di un uomo che è stato il più longevo presidente degli Stati Uniti della storia, e anche il più sottovalutato.
Il presidente uscente, Biden ha fissato per il 9 gennaio una giornata di lutto nazionale, invitando il popolo americano a rendere omaggio alla memoria dell'ex presidente Carter. I funerali avranno luogo undici giorni prima dell'insediamento del presidente eletto Donald Trump. Il presidente Biden ha inoltre ordinato che la bandiera degli Stati Uniti sia esposta a mezz'asta alla Casa Bianca e su tutti gli edifici e terreni pubblici.
La sua aspirazione era formare un governo “competente e compassionevole”, vicino al popolo americano e all’altezza delle aspettative delle persone. Erano obiettivi molto alti e ambiziosi, ma la crisi energetica, un’inflazione galoppante e le continue tensioni internazionali sfociate nella crisi degli ostaggi americani in Iran misero un freno alla sua attività politica e ne decretarono l’uscita anticipata. Eletto nel ’76, Carter restò alla Casa Bianca solo per un mandato, sconfitto nell’81 da un ex governatore e stella del cinema, che avrebbe cambiato il corso degli Stati Uniti: Ronald Reagan. Carter raramente usò il suo nome completo, James Earl Carter Jr., nato l’1 ottobre 1924 a Plains, Georgia.
L’azienda di famiglia di produzione di noccioline segnò il suo status sociale, le discussioni di politica formarono la sua coscienza, la vicina chiesa battista ne plasmò la visione religiosa. Dopo aver frequentato l’Accademia navale di Annapolis, Maryland, Carter era tornato a casa e si era sposato con quella che era stata la sua compagna fin da studente, Rosalynn Smith, con cui avrebbe vissuto tutta la vita fino al novembre dell’anno scorso, e fatto quattro figli: John William, detto Jack; James Earl III, per tutti Chip; Donnel Jeffrey, per gli amici Jeff e l’unica femmina, Amy Lynn. Per lei nessun soprannome.
Il 1962 fu l’anno della svolta: Carter cominciò la carriera di politico a livello statale, una corsa che lo porterà a essere eletto governatore della Georgia. Tra i giovani leader degli Stati del sud, Carter aveva attratto l’attenzione del partito per la forza del suo messaggio, infarcito di ecologismo, efficienza governativa e diritti civili, a cominciare dall’abbattimento delle barriere razziali. In Georgia, ex Stato schiavista ma anche casa di Martin Luther King, non era così scontato e popolare scegliere questa strada. Sull’onda di una dirompente nuova popolarità, Carter aveva annunciato nel ‘74 la sua candidatura a presidente degli Stati Uniti, cominciando una campagna elettorale lunga due anni che lo avrebbe portato a una rapida scalata nelle coscienze degli americani e del partito. Alla convention democratica venne eletto al primo turno. Come vice, scelse Walter Mondale, del Minnesota. Alle elezioni sconfisse il presidente in carica Gerald Ford, conquistando 297 elettori contro i 214 del suo avversario.
Quello che poi ha costruito nei quattro anni alla Casa Bianca resta negli annali della storia: il continuo impegno per contrastare l’inflazione e la disoccupazione; i quasi otto milioni di posti di lavoro creati e la riduzione del deficit pubblico. Ma per sua sfortuna, l’inflazione e i tassi di interesse erano arrivati a livelli record, e il tentativo di contrastarli aveva portato a una breve, ma dolorosa, recessione. Si trovò ad affrontare la crisi energetica, alla quale si oppose con una sorta di deregulation dei prezzi del petrolio interno, per stimolare la produzione, così come favorì la crescita dei settori dei trasporti e delle compagnie aeree, ma allo stesso tempo lasciò l’impronta sul piano ambientalista. Sotto la sua presidenza il sistema nazionale dei parchi registrò un’espansione senza precedenti, inclusi i 41 milioni di ettari di terre protette dell’Alaska. Per andare incontro alle esigenze delle classi più deboli e delle persone più emarginate, nel ’79 Carter creerà il dipartimento dell’Istruzione per le politiche educative, diede impulso al sistema della Social Security, che garantirà assistenza a milioni di persone, e nominerà in misura record nei posti di comando dell’amministrazione donne, neri e ispanici. Anche nella politica estera imporrà il suo stile: come leader dei diritti umani, verrà accolto con freddezza dall’Unione Sovietica e da altri Paesi. Ma i successi diplomatici restano un dato acquisito.
In Medio Oriente, grazie agli accordi di Camp David del ’78, aiutò il riavvicinamento tra Israele e Egitto. Ottenne la ratifica dei trattati del Canale di Panama e stabilì relazioni diplomatiche piene con la Repubblica popolare cinese, oltre a portare a termine i negoziati sulla limitazione dell’arsenale nucleare con l’Unione Sovietica, il trattato Salt II. Nel frattempo, per dare alla figlia più piccola, Amy, una parvenza di normalità, le fece costruire una casetta di legno su un albero nel giardino della Casa Bianca. Tutto questo in uno scenario internazionale convulso e instabile. I piani con l’Urss vennero sospesi dopo l’invasione sovietica dell’Afghanistan, ma soprattutto fu la crisi tra Usa e Iran a segnare il destino politico del presidente democratico: il sequestro dei membri dell’ambasciata americana a Teheran fu la notizia dominante per quattordici mesi.
Le conseguenze di quel sequestro, unite all’inflazione, contribuirono alla sconfitta di Carter alle elezioni dell’80. Nonostante la delusione, portò avanti da presidente le trattative per la liberazione dei cinquantadue ostaggi, che vennero rilasciati simbolicamente lo stesso giorno in cui Carter lasciò la Casa Bianca. Triste, solitario y final, era rimasto per gli americani Mister Nocciolina, The Peanut President, Peanut Farmer o semplicemente Mr. Peanut. Il giorno dell’uscita di scena, salì sulla limousine presidenziale con Reagan e fece il giro d’addio per l’inaugurazione della nuova amministrazione. La fine da presidente coincise con l’inizio di una nuova stagione politica, forse ancora più luminosa. Tornato con la moglie a Plains, villaggio rurale con meno di mille abitanti, due anni dopo fondò il Carter Center per promuovere i diritti civili nel mondo.
Nel 2002 ricevette il Premio Nobel per la pace. Continuò a viaggiare per condurre negoziati di pace, monitorare elezioni e contrastare le malattie infettive nei Paesi più poveri. Divenne figura chiare dell’organizzazione no-profit Habitat for Humanity, che ha realizzato più di quattromila abitazioni destinate ai bisognosi, e scrisse più di trenta libri, testi che andavano dai saggi di politica alle poesie, ma senza smettere di fare da consulente ombra a tutti i presidenti che vennero dopo di lui, inclusi Barack Obama, lo stesso Donald Trump e Joe Biden. Tutti gli hanno sempre riconosciuto una grande umanità e semplicità. Una volta lasciata la Casa Bianca, era tornato a vivere con la moglie nella casa di sempre, l’unica di loro proprietà, un ranch con due camere, costruito a Plains nel ’61 e valutato, anni fa, appena 167 mila dollari. Da presidente aveva usato l’Air Force One, da ex solo voli commerciali, spesso occupando nei posti d’angolo, sempre stringendo la mano ai passeggeri mentre si avviava al suo posto. E fu lui, unico tra tutti i presidenti, a scrivere di suo pugno una lettera di ringraziamento per il fotografo ufficiale della Casa Bianca, poco prima di lasciare.
Quattro anni sul tetto del mondo, e i successivi cinquanta vissuti dentro il cuore del mondo. L’ultima sfida, dopo la scomparsa della moglie, era sopravvivere abbastanza da dare il suo voto a Kamala Harris alle ultime presidenziali. Ci era riuscito, ma non è bastato. Harris ha perso ovunque, anche in Georgia. Carter, almeno, non dovrà assistere al ritorno alla Casa Bianca di una persona come Trump così diversa da lui per garbo, etica e stile di vita. Ancora oggi Plains, posto che prima di Carter era famoso solo per le coltivazioni di cotone, e è diventato un mausoleo carteriano, viene visitato da settantamila persone. Il miglior attestato di stima che gli americani potessero tributare a Mr. Peanut.
Funerali e sepoltura
Il feretro verrà esposto per trentasei ore al Carter Center, in Georgia, poi verrà trasferito a Washington dove si svolgeranno i funerali di stato. Il feretro di Carter tornerà in Georgia e verrà trasferito a Plains, dove l'ex presidente ha vissuto e dove verrà officiata una cerimonia privata. Qui, accanto alla moglie Rosalynn, morta l'anno scorso, Carter riposerà nella cappella privata.