AGI - La paura di parlare è quasi del tutto sparita dagli occhi dei siriani di Istanbul. È subito evidente quanto sia mutato l'atteggiamento di questa comunità che per anni ha evitato telecamere, macchine fotografiche e interviste nel timore di essere individuati e di mettere a rischio i familiari rimasti in Siria. Per loro la caduta del regime di Bashar al Assad ha rappresentato la fine di un incubo e l'inizio di un sogno, quello di tornare a casa. Mentre dal confine arrivano immagini di file di migliaia di siriani in fila per tornare a casa, nel quartiere di Fatih sventolano le bandiere e la gente è disposta a parlare del proprio Paese, senza più paura. "Dopo 13 anni di inferno è il momento che la Siria decida da sola. Ci saranno errori, non mancheranno i problemi, ma nulla può essere peggio della famiglia Assad" spiega Ahmed, un medico di 29 anni che con la madre è fuggito da Damasco in Arabia Saudita e ora si trova in Turchia, ultima tappa prima del ritorno a casa. "Io sono dentista e sono riuscita a portare mio figlio all'estero e fargli finire gli studi - spiega la madre - ma quanta gente ha avuto le proprie vite spezzate?".
La signora Zeinab ha addirittura fatto prima i biglietti: "Quando sono cadute Homs e Hama ho capito che per lui (Assad) era finita". Nel cortile della grande moschea di Fatih due turchi vendono bandiere della Siria: "Ieri ne ho vendute a centinaia, ho dovuto fare un sacco di telefonate per trovarne, oggi meno per la pioggia, ma si vende", risponde soddisfatto uno dei due. A pochi metri due adolescenti siedono sventolando una bandiera. Omer e Faisal hanno 15 anni e non hanno ricordi nè della Siria, nè tantomeno del regime di Assad: "Sono arrivato qui quando avevo due anni, qui sono cresciuto e qui ho fatto le scuole - spiega Faisal in un turco perfetto - ora mio padre va ad Aleppo a vedere come è la situazione, quest'anno devo finire la scuola, poi credo torneremo". "Domenica tutta la famiglia era incollata al telefono ed erano commossi. Io sono arrivato qui a tre anni, abbiamo raggiunto mio padre, a me la Turchia piace e la scuola va bene, ma mi sento siriano" racconta Omer con Faisal che annuisce.
Un barbiere espone una grande bandiera siriana al fianco di una bandiera turca. Il proprietario, Mahmud 38 anni, mi spiega che aveva un negozio uguale a Homs, ma che ha dovuto lasciare tutto e fuggire. "Sono arrivato e non avevo nulla, piano piano mi sono messo a lavorare e oggi pago l'affitto qui. Per il momento rimango a Istanbul, ho bisogno di mettere da parte dei soldi, poi vorrei un negozio anche a Homs. Siamo grati alla Turchia e a Erdogan, ora mi è difficile abbandonare questo Paese che mi ha dato questa possibilità", spiega il barbiere. Osama invece gestisce un ristorante, è felice della fine di Assad, ma ancora non si dà pace. "Mio fratello è nel carcere di Saydnaya, è rinchiuso nei sotterranei, ma i ribelli non sanno come accedervi. Ci sono i video delle telecamere non faccio che guardarli sperando di riconoscerlo", racconta mentre suo figlio Abdurrahman mostra i video dei prigionieri sul telefono.
"Sono fortunato, quando è scoppiata la guerra ero in Qatar per lavoro, mi occupo ancora di commercio e mio figlio è nato là un anno dopo. Solo 5 anni fa siamo venuti in Turchia, ma purtroppo mio fratello lo ha preso Assad. Ieri non abbiamo avuto notizie, credo che sia tra i prigionieri ancora in vita, è l'unica ragione che ho per tornare. Quello (Assad ndr) ha sulla coscienza morti in ogni famiglia della Siria", spiega Osama. Obaida, originario di Jishr el Shugur: "Ho 32 anni, sono venuto qui a 20 anni. A quell'età trasferirsi è facile, domenica ho capito invece quanto deve essere stato difficile per i miei genitori e per mia nonna. Piangevano tutti. Stiamo organizzando il ritorno a casa, io faccio il muratore e ora credo ci sarà lavoro per me". Nel ristorante Beit Al Ezz, i siriani vengono a mangiare per alleviare la nostalgia di casa. Il proprietario Mohammed aveva un ristorante ad Aleppo: "Ho dovuto chiudere ma sono riuscito ad aprire a Istanbul, far mangiare la mia famiglia e dare lavoro a tanti ragazzi. Tra pochi giorni parto per Aleppo per alcune settimane, voglio aprire anche nella mia città, ma a Istanbul rimarremo aperti, un pezzo della mia vita è qui". I quattro giovani camerieri si mettono in posa con una bandiera, ormai onnipresente nel quartiere.
Sono 4 milioni i siriani in Turchia e circa 670 mila vivono nella città di Istanbul. Spesso utilizzati dall'opposizione per attaccare il presidente Recep Tayyip Erdogan, accusato di essere stato troppo permissivo, questa comunità non si è mai veramente integrata nel tessuto sociale turco. Uno dei risultati è che negli ultimi dieci anni a Fatih è come se fosse stato trapiantato un pezzo della Siria prima della guerra civile. Una fuga che ha messo sullo stesso piano poveri e benestanti, giovani e anziani. Persone che in un primo momento cercavano salvezza sperando in una rapida fine di Assad, ma poi sono state costrette ad accettare la realtà e hanno lavorato per ricostruire le proprie vite, ma senza mai smettere di coltivare il sogno di tornare a casa.