AGI - Russia, Arabia Saudita, Israele, India, Argentina e Ungheria tifano per Donald Trump. Unione Europea, Ucraina, Regno Unito, Canada, Sudafrica e Messico sono per Kamala Harris. Le elezioni presidenziali americane del 5 novembre saranno seguite in tutto il mondo e avranno spettatori interessati e divisi sui due candidati. Nonostante la sua politica nazionalista e isolazionista, Trump può vantare alleati fuori dai confini degli Stati Uniti. La Russia di Vladimir Putin ha molti motivi per sperare in una vittoria del tycoon: il leader del Cremlino ha confermato la rivelazione di "War", il libro scritto dal gigante del giornalismo americano Bob Woodward, secondo cui Trump fece avere a Putin i test per il Covid in un periodo in cui gli americani speravano di averne uno.
Ma non c’è solo l'aspetto della riconoscenza a unire i due leader. Nelle presidenziali del 2016 e del 2020 Mosca ha appoggiato pubblicamente Trump, e lo ha aiutato con manipolazioni sui social e la diffusione di notizie false. Trump sostiene che Putin sarebbe preoccupato da una sua eventuale vittoria, ma l'ex presidente si è schierato a favore di una pace che riconosca a Mosca le conquiste fatte in Crimea, e che costringa l'Ucraina ad accettare lo smembramento. Trump ha poi sostenuto più volte che, una volta eletto, non permetterà più l'invio di aiuti militari a Kiev, e questa è la migliore delle notizie per Putin, in un momento in cui il conflitto è arrivato a un punto cruciale.
India e Argentina vedono nel tycoon il leader populista simile ai propri leader. Lo stesso vale per l'Arabia Saudita, che non ha dimenticato come siano stati i Democratici a relegare a "paria" Mohammed bin Salman, principe della corona e leader di fatto, accusato dall'intelligence Usa di aver ordito l'eliminazione dell'oppositore Jamal Khashoggi, ucciso nel 2018. I rapporti con l'amministrazione Biden adesso sono buoni, ma gli arabi non dimenticano. Israele continua a bombardare Gaza, seminando morte e distruzione, e indebolendo la figura di Joe Biden ogni giorno di più, stretto tra la necessità di non abbandonare uno storico alleato e la rabbia della base democratica, inorridita dai massacri quotidiani di donne e bambini.
Molti sostengono che il leader israeliano Benjamin Netanyahyu aspetterà le elezioni del 5 novembre per aprire a un negoziato di pace, ma solo dopo aver messo in difficoltà l'avversario di un uomo come Trump che, come lui, ha enormi guai giudiziari da evitare. In Europa l'Ungheria di Viktor Orban non ha nascosto le simpatie verso il tycoon, e che ricalcano quelle di altri leader populisti, come quello della Bielorussia e di altre ex-repubbliche sovietiche dell'Asia centrale.
A favore di Harris, invece, si schiera il fronte democratico occidentale dall'Ucraina all'Unione Europea, dal Regno Unito al Canada e al Messico. Nell'area dell'ex Unione Sovietica, sono a favore della vicepresidente la Moldavia e la Georgia. Buona sintonia c’è anche con il Brasile guidato dal socialista Lula, che mai vorrebbe collaborare con un autoritario come Trump. Nel continente africano le posizioni verso i Democratici sono meno irritate, retaggio del colonialismo americano.
Di sicuro il Sudafrica, dove è nato Elon Musk, uno dei più accaniti e munifici sostenitori di Trump, potrebbe auspicare una vittoria di Harris. Il tycoon ha dimostrato di essere a favore di Israele senza avere dubbi. E il SudAfrica è pur sempre il Paese che ha denunciato Israele per genocidio davanti alla Corte Internazionale dell'Aia. Stessa situazione per Egitto e i Paesi africani del Maghreb.