AGI - Il Nobel per la Letteratura ad Han Kang, scrittrice sudcoreana poco più che 50enne, è in un certo senso un premio a quella 'onda sudcoreana' che da una decina d'anni investe l'Occidente, rendendo popolari cinema, tv e musica 'made in Korea'. Un modello di 'soft power' nel quale il governo di Seul ha investito molto e che Giuseppina De Nicola, professoressa di lingua e cultura coreana all'Università di Torino ha studiato a fondo e conosce bene.
"Il riconoscimento a questa scrittrice era un po' nell'aria" dice all'AGI, "se ne parlava per la sua importante storia personale - che ha raccontato nei suoi romanzi, soprattutto in 'Atti Umani' - e per il fatto che ha vissuto gli anni della democratizzazione della Corea del Sud. Già questa esperienza politica di lotta al regime, il regime molto crudo degli anni '80, la facevano iscrivere in un vissuto di rilievo per la storia contemporanea del Paese".
Secondo De Nicola "questo background ha influenzato la scelta dell'Accademia di Svezia", insieme al fatto che Han sia un'autrice il cui stile è godibilissimo anche in Occidente. "E' possibile che l''onda coreana' abbia in qualche modo acceso i riflettori su quel fenomeno che ormai è riconosciuto ovunque come K-literature" aggiunge la studiosa che di recente ha pubblicato, con Giorgio Glaviano, un saggio sulla serie-fenomeno 'Squid Game'. "Ormai il K-qualcosa è un marchio, come il Made in Italy, un elemento di soft power che fa parte della politica governativa e che ha preso le mosse dal cinema per poi arrivare alla musica e alla tv e ora alla letteratura". Un fenomeno che nasce dalla capacità di alcuni intellettuali sudcoreani - e tra questi la Han - di "ibridare la cultura asiatica con quella occidentale", spiega De Nicola che ravvisa una certa difficoltà delle leve culturali nostrane a riconoscerne la portata e l'importanza.
"L'onda coreana è già abbastanza coinvolgente, ma continuiamo a scoprirne aspetti sempre più nuovi. E' partito tutto con le fiction e il k-pop che però sono fenomeni limitati alle giovani generazioni. Ora un pubblico sempre più adulto si avvicina alla cultura coreana e ci sono ancora altri stimoli che vanno colti e analizzati, come quelli che vengono dal mondo del design e della moda, ma che includono anche lo stile di vita al quale un certo Occidente guarda con sempre maggiore attenzione".
Un percorso che, per quanto abbia avuto impulso con gli ingenti investimenti degli ultimi dieci-quindici anni, parte da lontano. "In generale l'Oriente, a partire dal '900, si è occidentalizzato, ma si può dire che è dagli anni 2000 che Giappone, Cina e Corea hanno in qualche modo creato un loro stile che fonde perfettamente l'arte - e più in generale la cultura - asiatica con quella occidentale. Noi siamo rimasti indietro, con una visione etnocentrica che mette ancora l'Occidente al centro del mondo. Le giovani generazioni lo hanno capito e si rivolgono alla cultura che viene dall'Oriente e in particolare a queste ibridazioni, trovandole più fresche e stimolanti, meno stantie. C'è comunque un gap tra le generazioni dei 50enni che ancora detengono le leve del potere culturale in Occidente e quelle dei 20enni, massimo 30enni, che guardano con molta più attenzione alla capacita' della cultura asiatica di coniugarsi a quella occidentale".
"Quanto alla scrittura di Han ha senza dubbio giocato a suo favore la sua 'universalità'. E' una autrice che ha vissuto molto in Occidente, conosce molto bene l'Europa e quindi il suo stile, rispetto ad altri sudcoreani che avrebbero anche loro meritato il Nobel, come Hwang Sok-yong, la cui scrittura è molto più orientaleggiante, più forbita e più difficile per il lettore occidentale", conclude De Nicola.