AGI - Secondo le agenzie di viaggio, la Corea del Nord riaccoglierà i turisti internazionali alla fine dell'anno, ma gli esperti hanno avvertito che la tanto attesa apertura potrebbe essere vittima delle tensioni politiche e dei brutali inverni del Paese.
Il Nord ha sigillato le frontiere e vietato i visitatori internazionali subito dopo che la pandemia di Covid-19 ha preso piede all'inizio del 2020, temendo che il virus potesse paralizzare i suoi già fragili servizi sanitari. La chiusura ha colpito gli scambi commerciali con la Cina e ha negato al regime i dollari del turismo, mentre il leader Kim Jong-un si è rifugiato nella sua casa di vacanza sulla costa.
Sebbene i voli internazionali in entrata e in uscita dalla Corea del Nord siano ripresi l'anno scorso e circa 100 turisti russi abbiano partecipato a un tour privato a febbraio, il Paese rimane sostanzialmente chiuso agli esterni.
L'apparente decisione di "abbassare il ponte levatoio" è stata accolta con favore dalle compagnie turistiche, ma alcuni osservatori della Corea del Nord affermano che i piani per riprendere il turismo dopo quasi cinque anni di isolamento forzato dalla pandemia sono pieni di problemi. I media statali nordcoreani non hanno ancora commentato la notizia dell'apertura, anche se Kim si è interessato personalmente allo sviluppo delle infrastrutture turistiche e ha parlato del suo desiderio di accogliere visitatori da nazioni “amiche”, Cina e Russia.
La motivazione ufficiale non è cambiata di molto da quando il Nord ha vietato i turisti stranieri nel 2020: mostrare un Paese moderno e ricco di contenuti, incentrato sull'incrollabile devozione pubblica a tre generazioni della dinastia Kim.
I primi visitatori dovrebbero essere confinati a Samjiyon, una città vicina al confine cinese, descritta dalla Corea del Nord come “utopia socialista” e “modello di città di montagna altamente civilizzata”.
Secondo alcuni esperti, però, i piani potrebbero essere vanificati dal clima rigido che in inverno attanaglia la remota area di Samjiyon, dalle scarse infrastrutture locali e, per gli occidentali, dalla riluttanza a recarsi in un Paese che negli ultimi anni è diventato più aggressivo.