AGI - L'attacco sferrato lo scorso sabato nelle Alture del Golan ha fatto 12 vittime all'interno della comunità drusa, un gruppo di etnia e lingua araba che conta circa un milione di adepti, la cui popolazione si trova principalmente in Libano e Siria. Circa 150 mila invece vivono in Israele: 130 mila nelle regioni del monte Carmelo e della Galilea, mentre sono invece circa 20 mila i drusi che vivono nelle alture del Golan.
Se tra i drusi della Galilea e del monte Carmelo non mancano esempi di integrazione e arruolamento in esercito e polizia, nel Golan la stragrande maggioranza dei membri della comunità rifiuta la cittadinanza israeliana e insiste nel considerarsi siriana. In base a quanto riportato da diversi media internazionali, nessuna delle vittime dell'attacco di sabato scorso aveva un passaporto israeliano, ma solo una carta di identità rilasciata dallo Stato ebraico per motivi burocratici legati allo status ibrido della regione.
Nata nell'undicesimo secolo in Egitto, la comunità dei drusi si distingue per una rivisitazione delle pratiche islamiche in forme che al giorno d'oggi con l'Islam hanno ben poco a che vedere e con una sostanziale chiusura alle altre religioni. Per i drusi è infatti vietata sia la conversione, sia la possibilità di matrimoni misti. I drusi del Golan condividono il territorio con circa 25 mila israeliani che abitano in 30 insediamenti.
Israele punta però a raddoppiare la popolazione ebraica dell'area attraverso la costruzione di nuovi insediamenti per i coloni. Il piano è stato presentato prima dell'inizio della guerra e dovrebbe partire nel 2027, ma l'Onu si è espressa negativamente. Tra le motivazioni addotte dalle Nazioni Unite compaiono le politiche discriminatorie attuate nei confronti dei drusi, che nel Golan hanno sofferto negli anni pesanti restrizioni legate all'accesso a terreni coltivabili e riserve d'acqua.
L'Onu denuncia disparità di trattamento, sia per quanto riguarda le tasse che i criteri di assegnazione delle risorse idriche, negli anni finite sempre più sotto il controllo dei coloni. Si tratta di uno degli aspetti che i drusi denunciano come "tentativi di colonizzazione israeliana". Significative a questo riguardo sono state le proteste del 2018, quando migliaia di drusi protestarono contro un pacchetto di leggi presentato dal parlamento israeliano nel timore che le discriminazioni sofferte nel Golan sarebbero state legalizzate. A preoccupare i drusi sono il riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele ma soprattutto la definizione del Paese come "storica dimora degli ebrei"; solo a questi ultimi viene riconosciuto "il diritto all'autodeterminazione". I leader drusi si schierano apertamente contro un testo che li relega a essere cittadini di seconda classe ed è privo di menzioni all'eguaglianza e ai diritti delle minoranze.