AGI - In un anno densissimo di appuntamenti elettorali, il vertice Nato di Washington, come il G7 in Puglia del mese scorso, rischia di essere condizionato dalle problematiche interne affrontate da molti leader. I maggiori interrogativi riguardano Joe Biden, che, dopo il disastroso confronto tv con Donald Trump, è alle prese con crescenti pressioni perché rinunci a correre per un altro mandato alla Casa Bianca. E le domande sulle condizioni di salute del presidente degli Stati Uniti hanno dominato la conferenza stampa introduttiva del segretario generale dell'Alleanza, Jens Stoltenberg, che venerdì scorso ha evitato di rispondere in modo diretto, ribadendo la sua eccellente relazione di lavoro con Biden.
Trump è l'elefante nella stanza
Stoltenberg ha inoltre affermato di non essere troppo preoccupato dalle numerose chiamate alle urne che stanno interessando alcuni membri chiave dell'organizzazione. "Siamo tutti democrazie, la Nato non è mai data per scontata, non ci sono garanzie ma costituisce un'importante priorità strategica", ha aggiunto Stoltenberg, "quando i leader entrano in carica vedono la realtà e si accorgono che una Nato forte gli conviene, in particolare adesso".
Quello a un possibile ritorno del magnate repubblicano alla Casa Bianca, prospettiva che fa paventare un affievolimento dell'impegno atlantico degli Usa, è il riferimento principale ma non l'unico. Sono infatti ancora tutte da chiarire le conseguenze sull'Alleanza del verdetto degli elettori francesi e britannici.
Dove va la Francia?
Si tratta di due situazioni, per molti versi, opposte. L'inquilino dell'Eliseo, Emmanuel Macron, si lascia alle spalle un Paese dove, dopo il secondo turno delle legislative concluso domenica, non si intravede una maggioranza chiara. Il suo difficile obiettivo sarà stringere un accordo con quelle componenti del Nuovo Fronte Popolare, uscito vincitore dal voto, sufficientemente affidabili sul piano della politica estera; quindi non la France Insoumise di Jean-Luc Melenchon, che rivendica invece il diritto delle sinistre a governare senza i centristi.
L'affermazione di un Rassemblement National che flirta in modo esplicito con Mosca sarebbe stato di certo lo scenario peggiore da una prospettiva atlantista e in molti hanno tirato un sospiro di sollievo al veder sfumare l'ingresso dell'estrema destra a Palazzo Matignon. Va però ricordato che, nella storia della Nato, la Francia è sempre stato un elemento destabilizzante e ciò è stato vero anche con Macron al timone. Dopo l'invasione russa dell'Ucraina, il presidente francese, che non molto tempo prima aveva proclamato la "morte cerebrale" dell'alleanza, ha vestito prima i panni della "colomba" che manteneva un dialogo diretto con il Cremlino, poi quelli del 'falcò pronto a inviare truppe a difesa di Kiev.
Sono forti ed esplicite anche le perplessità di Macron sull'estensione all'Indo-Pacifico dell'orizzonte strategico della Nato. Gli strascichi del no di Parigi all'apertura di un ufficio di rappresentanza a Tokyo saranno sicuramente sensibili a un vertice al quale sono stato invitati Australia, Nuova Zelanda, Corea del Sud e lo stesso Giappone. E il desiderio della Francia di non esacerbare le tensioni con Pechino è condiviso da molti altri membri europei dell'Alleanza, a partire dalla Germania.
Un coinvolgimento strutturale della Nato nel contenimento della Cina avrà quindi necessità di contare su un ritorno sulla ribalta internazionale di un Paese negli ultimi anni troppo spesso distratto da problematiche interne: il Regno Unito, ora guidato da Keir Starmer.
L'astro nascente del nuovo premier inglese
Forte di una solida maggioranza parlamentare, Starmer guida una nazione che è già protagonista, insieme a Usa e Australia, dell'accordo per la sicurezza trilaterale Aukus, nonchè del patto di cooperazione di intelligence 'Five Eyes', che include anche Nuova Zelanda e Canada. Con rapporti economici con il Dragone meno stretti di altri alleati, la Gran Bretagna diventa quindi un elemento ancora più fondamentale nel contrasto all'espansione cinese. Al suo debutto sulla scena internazionale, Starmer dovrà, però, soprattutto rassicurare sul suo impegno a fianco dell'Ucraina.
Starmer ha già garantito al presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, che il sostegno di Londra a Kiev non cambierà sotto la sua amministrazione. Per ribadire il punto, il neo ministro della Difesa laburista, John Healey, ha visitato Odessa nel suo secondo giorno in carica e ha annunciato un nuovo piano di aiuti militari che include munizioni di grosso calibro, artiglieria e missili Brimstone.
Starmer è lontano dalla sinistra radicale di un Jeremy Corbyn ma anche dall'oltranzismo di un Boris Johnson, che fu accusato non solo da parte russa di aver fatto saltare gli accordi di Istanbul che avrebbero potuto portare anzitempo il conflitto a una conclusione negoziata, grazie agli sforzi di mediazione della Turchia. Il nuovo premier britannico sarà quindi un partner non solo affidabile ma pragmatico per Kiev, in una fase che vede ancora lontana ma meno remota l'apertura di una trattativa con la Russia. Tutti i riflettori sono puntati sul primo ministro, già tra i protagonisti del vertice.