AGI - Anche se la questione dell'immigrazione resta fra le principali di cui l'Unione europea si deve occupare secondo la maggior parte dei cittadini dei 27, soprattutto nei Paesi di frontiera, la guerra in Ucraina ha cambiato le priorità. Uno degli elementi da non trascurare in queste elezioni per il rinnovo del parlamento europeo è quanto avvenuto nei Paesi noti come "il gruppo di Visegrad", Polonia, Ungheria, Repubblica ceca e Slovacchia.
A unirli, negli anni dell'emergenza immigrazione attraverso la cosiddetta "rotta balcanica", fu proprio la chiusura agli arrivi di profughi e richiedenti asilo. Il formato si è via via sfaldato con l'emergere di nuove priorità e di nuove maggioranze politiche all'interno dei singoli Paesi. E se Ungheria, Repubblica ceca e Slovacchia restano guidati da leader populisti ed euroscettici, con il cambio della guardia a Varsavia la Polonia ha un po' spostato a ovest il suo baricentro, tornando a rispolverare l'alleanza con Francia e Germania ovvero il "triangolo di Weimar" e prendendo un po' le distanze dai partner di Visegrad, di cui è il Paese di maggiore peso con i suoi 38 milioni di abitanti (l'Ungheria ne ha meno di 10, la Cechia pochi di più, la Slovacchia 5,4).
Questo permette alla Polonia di eleggere ben 53 eurodeputati (il quinto Paese dopo la Germania con 96, Francia 81, Italia 76 e Spagna 61). La vittoria dell'ex presidente del Consiglio europeo Donald Tusk alle ultime elezioni generali ha permesso a Varsavia di non avere più una leadership in contrasto totale con Bruxelles, soprattutto sulle questioni dello Stato di diritto, e di riavvicinarsi all'alleanza con Berlino e Parigi. Ma lo stesso Tusk ha difficoltà interne su questioni come il diritto di aborto e la lotta al cambiamento climatico mentre gli agricoltori polacchi sono da mesi sul piede di guerra anche a causa della concorrenza ucraina in tempo di guerra.
Dei quattro Paesi di Visegrad, tutti affetti in misura diversa da disaffezione per le urne, proprio la Polonia è quello in cui ha votato il maggior numero di elettori nel 2019, con un'affluenza alle urne del 45,7%. Diversa la situazione in Ungheria, che di deputati a Strasburgo ne manda 21 (con un'affluenza alle urne che nelle precedenti europee del 2019 fu del 43,48%) e dove la leadership di Viktor Orban, primo ministro dal 2010 dopo esserlo già stato fra il 1998 e il 2002, appare per la prima volta messa alla prova dalla possibilità che l'ex alleato Peter Magyar possa avere un buon risultato elettorale con il Partito Rispetto e Libertà.
Il timore del partito di governo è che l'avversario superi il 20%. Anche la Cechia, dove nel 2019 votò appena il 28,7% degli aventi diritto, manda a Strasburgo 21 eurodepitati; secondo i sondaggi, qui il partito populista ANO dell'ex premier Andrej Babis dovrebbe vincere e aggiudicarsene oltre un terzo con un programma euroscettico all'attacco soprattutto sul patto sull'immigrazione e il Green deal.
Quanto alla Slovacchia, che elegge 15 parlamentari europei, qui la campagna elettorale è stata adombrata dal tentativo di uccidere il primo ministro Robert Fico il mese scorso: da allora, una campagna elettorale precedentemente tutta dedicata all'immigrazione e alla guerra in Ucraina si è invece concentrata sull'uomo che gli ha sparato, un anziano radicalizzato. Il partito di governo se ne avvantaggerà, ma anche in questo caso come in quello dei vicini cechi, peserà moltissimo l'astensionismo. Nel 2019, si è espresso solo il 22,74% degli elettori slovacchi.