AGI - Warren Harris ha chiesto scusa. Per farlo ci ha messo quarantasette anni, tutti trascorsi in una prigione della Louisiana, che un tempo era una piantagione di schiavi chiamata Angola, lungo il Mississippi River. A 63 anni Harris ha dato una svolta alla propria vita, chiedendo ufficialmente scusa per il triplice omicidio commesso a New Orleans quando ne aveva 16, era fatto di eroina, e aveva accoltellato tre persone a cui voleva portare via i soldi. Per quei tre omicidi è stato condannato all'ergastolo, ma per lui le porte del carcere si apriranno grazie al pentimento e a un programma di riabilitazione. Nel penitenziario statale della Louisiana, Harris ha parlato per la prima volta in una video conferenza, in collegamento con i membri della commissione che doveva decidere il suo rilascio. Ha riconosciuto di aver sbagliato.
"Ho pochi nipoti - ha dichiarato durante l'udienza - ne ho uno per il quale prego tutti i giorni perchè non gli succeda niente e non finisca in prigione come me. Non solo lui. Anche alcuni suoi amici, sapete". Gli omicidi erano stati commessi nell'arco di otto settimane, tra il febbraio e l'aprile del 1977. A New Orleans la gente temeva che ci fosse un serial killer che avesse preso di mira i gay che frequentavano il quartiere francese. La zona, con i suoi jazz di Bourbon Street, venne presidiata da polizia a cavallo, ma nel frattempo molti locali si svuotarono per paura che il serial killer si facesse di nuovo vivo, per allungare la sua scia di sangue.
Invece l'assassino era un minorenne stordito dall'eroina, abbandonato dalla famiglia, uno che si aggirava per strada come un randagio in cerca di soldi per comprarsi le dosi. Quasi cinquant'anni dopo si è ritrovato davanti a un monitor, a chiedere scusa, ad ammettere di aver sbagliato tutto e aver rovinato la vita di molte persone. Si è asciugato più volte gli occhi, dietro gli occhiali. Harris è tra i 121 detenuti condannati all'ergastolo quando erano minorenni a cui, dal 2017, è stata concessa un'udienza per rivedere la condanna o trasformare la pena inflitta in libertà vigilata.
Per beneficiare di questo trattamento bisogna aver scontato almeno venticinque anni dietro le sbarre. Secondo i dati di Sentencing Project, una noprofit che studia i sistemi penitenziarii, gli Stati Uniti sono l'unica nazione al mondo che condanna all'ergastolo, e senza possibilità di uscire, minorenni ritenuti colpevoli di reati gravi. Ma negli ultimi anni in molte aree del Paese si sta cominciando a studiare forme di riabilitazione, anche per contenere le spese eccessive che lunghe detenzioni comportano. Dal 2012 ventotto Stati e il distretto di cui fa parte la capitale Washington hanno messo al bando la condanna all'ergastolo per chi ha meno di diciotto anni. Attualmente negli Stati Uniti sono 488 i detenuti condannati al carcere a vita per reati commessi quando erano minorenni. Quasi 1100 sono stati rimessi in libertà dal 2016.
Harris era un ragazzo quando la polizia lo arrestò nella stanza di un motel. Le vittime vivevano a pochi isolati di distanza. Harris li aveva incontrati per caso sul bus o per strada. I loro nomi erano: Jack Savell, Alden Delano e Ernest Pommier. "Avevo bisogno di soldi per comprarmi la droga - ha raccontato durante l'udienza - divenni amico di quei tre in periodi diversi. Mi chiesero di fare loro compagnia, e di seguirli a casa. Il tempo di entrare negli appartamenti, li rapinai e li uccisi. Sono pentito, ogni giorno dico mi dispiace". Per ognuno dei tre omicidi, il ragazzo venne condannato all'ergastolo. Dunque: tre ergastoli.
Jerrie LeDoux, che fa parte della commissione che doveva commutare la pena in libertà vigilata, adesso dice di essersi chiesta molte volte: "Avrei paura a vivere accanto a questa persona?". La sua risposta è stata no. "Beh - gli ha detto durante l'udienza - penso che lei sia pronto per tornare in strada". A un certo punto la donna gli ha chiesto: "Voglio che adesso ci dica lei perchè dovremmo autorizzarla a lasciare il carcere". "Io - ha risposto Harris - ho riabilitato me stesso. Dio mi ha permesso di rivalutare tutta la mia vita e di rimettermi sul giusto sentiero". In carcere ha svolto ruoli di fiducia, ha imparato a fare giardinaggio, completato un corso su come gestire le dipendenze, è diventato membro di un coro gospel chiamato "Pure Heart Messengers".
Già nel 2008, intervistato in un documentario, Harris aveva confessato al regista Benamin Harbert che la musica gli aveva portato la libertà interiore. "La musica per me - aveva spiegato - è come leggere una storia western e godere di quella storia. Ti senti quel personaggio, ti senti di cavalcare lungo una pianura, entrare in un saloon eccetera". Il giorno che ascoltò alla radio un gospel, chiamato "Jesus, I love calling your name", si mise a piangere per l'emozione.
Una volta libero, Harris andrà a vivere dalla sorella, Brenda Palmer, 60 anni. "Sono rimasta incinta a 14 anni - ha raccontato la donna durante l'udienza - e nonna a 40 anni. In tutto questo tempo ha visto Warren crescere. Siamo stati tutti idealmente in prigione con lui".
"Warren - ha aggiunto - è stato come un padre e uno zio per i miei bambini e i miei nipoti. Ognuno ha bisogno dell'altro. Quando sono andato a trovarlo in tutti questi anni in carcere, non lo facevo per lui, ma perchè ne avevo bisogno io. Per questo sono qui e lo sarò sempre, fino a quando Dio non ci porterà tutti al suo fianco". Harris si è tolto gli occhiali e si è messo a piangere.