AGI - "Israele effettuerà una contro-rappresaglia sull'Iran per ristabilire l'equilibrio: da decenni la regola della deterrenza dice che deve picchiare con forza e per ultimo e raramente ha derogato". Ne è convinto Riccardo Alcaro, responsabile del programma Attori Globali dell'Istituto Affari Internazionali (Iai), intervistato dall'AGI alla luce del lancio di centinaia di droni e missili da parte della Repubblica islamica sabato notte contro lo Stato ebraico. Una ritorsione dopo il raid del 1 aprile contro il consolato iraniano a Damasco nel quale sono rimasti uccisi diversi Pasdaran, compreso il generale Mohammad Reza Zahedi.
L'attacco iraniano, minacciato e annunciato con largo anticipo, è stato di forte impatto simbolico ma ha fatto danni limitati. Resta da vedere come reagirà Israele: il gabinetto di guerra si è riunito più volte ma finora non è stata presa una decisione. Per Alcaro, "il governo israeliano ha fortissimi incentivi interni a non lasciare che l'Iran abbia l'ultima parola. Innanzitutto militari: uno dei pilastri della dottrina di deterrenza applicata negli ultimi decenni dice che Israele debba colpire con forza e per ultimo, un principio cui raramente ha derogato, non negli ultimi 30 anni". Oltre a ciò, aggiunge l'analista, ci sono motivi legati agli "equilibri interni all'esecutivo israeliano, retto da una coalizione di destra e ultradestra. Il desiderio di rispondere all'Iran è diffuso e generale e può essere addirittura esistenziale per il governo se i due partiti estremisti di Itamar Ben-Gvir e Bezalel Smotrich ponessero la condizione che senza rappresaglia israeliana ritirerebbero l'appoggio".
Infine, afferma Alcaro, ci sono "i motivi personali del premier Benjamin Netanyahu, che sa benissimo che in caso di elezioni, perderebbe. E a quel punto gli verrebbe presentato il conto, per il disastro del 7 ottobre e per l'apparente insuccesso della strategia poi seguita, dal momento che la guerra a Gaza non ha raggiunto alcuno degli obiettivi indicati, ne' il ritorno degli ostaggi ne' la distruzione di Hamas". Senza contare, i suoi "problemi da lungo tempo con la giustizia". "Per evitare le elezioni, la migliore opzione per Netanyahu è che la guerra continui e che il focus si sposti da Gaza - su cui Israele è necessariamente sulla difensiva, dato il livello di devastazione totalmente sproporzionato rispetto a quanto pure ha sofferto il 7 ottobre - all'Iran, su cui ha gioco abbastanza facile nel raccogliere il sostegno degli Usa e dei principali Paesi europei".
"Non vedo disincentivi a fare una contro-rappresaglia", sottolinea Alcaro. "Ci sono rischi politici - di creare una frattura con gli americani - e rischi militari. Gli Stati Uniti hanno annunciato che non parteciperanno a un'offensiva, quindi Israele deve tarare bene il tipo di risposta. Netanyahu e' abituato a tirare la corda, e può' essere che il suo calcolo" lo porti a rischiare, pensando che "anche se gli Usa hanno detto che non interverranno in una contro-rappresaglia, se questa dovesse innescare un'ulteriore escalation e si dovesse arrivare a un conflitto aperto con l'Iran, interverrebbero comunque a favore di Israele.
E quindi potrebbe essere che il governo si decida per una rappresaglia ad alto livello politico, e cioè picchiare veramente duro". Quanto ai possibili obiettivi, "Israele ha molte opzioni", ricorda l'analista dello Iai, convinto che in discussione ci sia "un attacco dal territorio israeliano al territorio iraniano per ristabilire la parità". Ma sul resto e' difficile fare previsioni. Rimane l'idea che "ci sia nell'establishment di sicurezza e militare israeliano, chi dica che questa contra-rappresaglia vada fatta in modo che sia accettabile ai partner, in primis gli Usa, gli europei e i Paesi arabi, in modo che non possa essere considerata automaticamente come un'escalation".