AGI - L'attacco sferrato dall'Iran verso Israele nella notte non ha avuto conseguenze rilevanti per lo Stato ebraico, ma ha finito con l'aggravare ulteriormente la frattura tra i blocchi creatisi nel panorama internazionale all'indomani dell'attacco del 7 ottobre scorso. L'Occidente, seguendo la linea degli Stati Uniti, ha subito riconosciuto il diritto di Israele a difendersi, giustificato numerose operazioni per poi chiedere di limitare i bombardamenti solo quando la situazione umanitaria a Gaza era divenuta insostenibile e gli appelli dell'Onu innumerevoli. Un fronte all'inizio compatto, poi diversificatosi alla luce della crisi umanitaria che affligge i civili e alle decine di migliaia di vittime della Striscia. Fratture che non hanno però portato la politica a intraprendere iniziative concrete per una soluzione condivisa. I droni e missili iraniani hanno ricompattato questo fronte, la cui posizione è stata uniforme: netta condanna all'attacco iraniano e Teheran che torna a essere additato come il capofila dei regimi che puntano a colpire le democrazie occidentali. Sull'altro fronte i Paesi che hanno espresso "estrema preoccupazione" per una possibile escalation e le ricadute sulla regione. Paesi come Cina, Russia, Turchia, Egitto, Arabia Saudita che hanno un dialogo aperto con i leader di Hamas, in alcuni casi (Il Cairo e Ankara) vogliono evitare flussi di profughi. Ci sono poi i Paesi che hanno sin dall'inizio invitato Israele alla moderazione e che, nel caso della Turchia, sono poi passati dalle accuse feroci e alle sanzioni al commercio. Oppure, come nel caso di Pechino e Mosca, che hanno assunto posizioni nettamente contro Israele in sede di Consiglio di Sicurezza del'Onu. I Paesi di questo blocco riconoscono la violazione dei diritti dei palestinesi e spingono per una soluzione politica che porti alla fine dell'occupazione israeliana e alla nascita di uno Stato Palestinese.
Stati Uniti: lo scorso 12 aprile il Segretario di Stato americano Anthony Blinken aveva effettuato un giro di telefonate per chiedere a Cina, Arabia Saudita e Turchia di mediare con l'Iran per evitare attacchi che avrebbero potuto sortire conseguenze nefaste. La Casa Bianca è da mesi impegnata per evitare che il conflitto si allarghi all'intera regione. Blinken ha effettuato numerosi tour nell'area, passando anche per il Libano, dove si annidano gli Hezbollah, gli alleati di Teheran che con Israele scambiano colpi direttamente dal confine. Gli Usa, in procinto di disimpegnarsi dall'Iraq e con le elezioni in arrivo, non vogliono un Medio Oriente in fiamme, ma continuano a considerare Teheran il nemico numero uno, a maggior ragione dopo quest'attacco. Europa Unanime la condanna di Francia, Germania e Italia e dei Paesi Ue. L'Unione Europea, attraverso il presidente della Commissione Ursula von der Leyen, ha intimato all'Iran di "cessare immediatamente gli attacchi". Anche a Bruxelles le elezioni sono alle porte e una larga parte dell'opinione pubblica negli ultimi mesi si è dissociata dalle prese di posizione dei singoli Paesi, ritenute troppo sbilanciate a favore di Israele, alla luce della gravissima situazione umanitaria a Gaza. L'Europa dietro la minaccia iraniana vede agitarsi lo spettro del terrorismo di matrice islamica e questo è un fattore che contribuirà a determinare il risultato delle elezioni.
Canada e Gran Bretagna: sostegno a Israele e condanna all'Iran, che il primo ministro britannico Rshi Sunak accusa di "voler seminare il caos". A parte inviti alla moderazione giunti da Ottawa, i due Paesi sono rimasti allineati con la politica estera statunitense. Tuttavia in Gran Bretagna si sono moltiplicate le accuse al governo e le polemiche per le forniture militari che continuano a essere garantite a Israele.
Ucraina e Russia: due Paesi in guerra, inevitabilmente schierati su fronti opposti; rappresentano l'emblema della spaccatura sul panorama geopolitico internazionale. Sin dal 7 ottobre il presidente ucraino Volodimir Zelensky ha dichiarato che "Hamas è come la Russia, Israele come l'Ucraina". Parole necessarie a non far passare in secondo piano il conflitto in Ucraina e ottenere le armi per resistere ai tentativi di sfondamento dell'esercito di Mosca. L'attacco dell'Iran ha costituito per Kiev l'occasione per schierarsi contro "due regimi che collaborano", due Paesi che vengono considerati i più importanti esponenti dell'asse che minaccia la democrazia. Se a sostenere gruppi come Hezbollah e Houthi ci pensa Teheran, a sostenere l'Iran ci pensa Mosca. Una tesi che si basa anche sulle forniture di droni che l'Iran invia alla Russia e con cui poi l'esercito russo attacca l'Ucraina. Il Cremlino ha mantenuto aperti i canali con Hamas, con cui dialoga. La diplomazia russa ha più colte parlato di "nuovo asse di potere" con Teheran.
Turchia: il presidente turco Recep Tayyip Erdogan non vuole assolutamente che il conflitto si allarghi nella regione e da mesi sta lavorando soprattutto per placare Hezbollah in Libano. Allo stesso tempo Ankara e Teheran si sono riavvicinate negli ultimi mesi e il leader turco sembra uno dei pochi che ha la possibilità e l'intenzione di intervenire sugli ayatollah, oltre che di dialogare con Mosca. Erdogan spinge però per una soluzione politica, tiene aperti i canali con Hamas e non ha risparmiato accuse di genocidio (oltre a sanzioni economiche) nei confronti di Israele. Atteso per una visita alla Casa Bianca il prossimo 9 maggio, il leader turco rimane controparte centrale nell'area per tutto l'Occidente.
Egitto: la preoccupazione espressa oggi dal Cairo costituisce solo una parte dei pensieri che tolgono il sonno al presidente Abdelfettah al Sisi. Circa un milione e mezzo di persone sono ammassate al confine con l'Egitto, la situazione della città di confine di Rafah potrebbe precipitare da un momento all'altro e lo spettro di un esodo di massa aleggia da mesi su un Paese la cui economia, già sofferente, ha subito le conseguenze degli attacchi Houthi nel Mar Rosso sul traffico mercantile attraverso lo Stretto di Suez. Con le accuse rivolte da Erdogan a Israele la diplomazia del Cairo ha tentato di mediare tra Israele e Hamas, senza però riuscire a trovare un'intesa, divenuta sempre piu' difficile dopo gli attacchi di stanotte.
Arabia Saudita: Iran e Arabia Saudita hanno recentemente normalizzato i rapporti dopo anni di tensioni. I sauditi hanno un interesse concreto a bloccare l'escalation del conflitto, ma rimangono dubbi sulla reale influenza che sono capaci di esercitare su Teheran. La monarchia saudita è stata più volte accusata negli ultimi anni di aver dimenticato la causa palestinese e di aver perseguito solo i propri affari e interessi, avvicinandosi agli Usa e allo stesso Stato ebraico. Il principe Mohammed Bin Salman ha congelato le relazioni con Israele, ma tra le sue priorità rimane il megaprogetto "Vision 2030", per la cui riuscita il sostegno e investimenti occidentali sono necessari. L'ambiguità di Riad ha permesso all'Iran di diventare nel mondo islamico il campione della causa palestinese. In ballo tra Teheran e Riad c'è anche il primato dell'universo musulmano che passa dall'eterna competizione tra mondo sciita e sunnita.
Cina: Iran e Cina sono legate da comuni interessi economici e commerciali. E' infatti iraniano il petrolio necessario a far andare avanti lo sviluppo economico cinese. Affari di vitale importanza per Teheran che rendono forte l'influenza di Pechino sugli ayatollah. La Cina ha espresso preoccupazione e chiesto moderazione, ma aveva ricevuto la telefonata di Blinken, che ha chiesto al ministro degli Esteri Wang Yi di intervenire per placare Teheran. Tuttavia è da vedere se la Cina seguirà le raccomandazioni di Washington o se, come in passato, penserà a giocare la propria partita dietro le quinte per infastidire la Casa Bianca.