AGI - Il governo turco ha annunciato questa settimana l'entrata in vigore di sanzioni economiche nei confronti di Israele, destinate a durare fino a quando non sarà dichiarato un cessate il fuoco e alla popolazione civile non sarà garantito pieno accesso agli aiuti umanitari. La decisione blocca l'esportazione di 54 diversi prodotti. Sono misure con un forte valore politico, il cui impatto sul commercio tra i due Paesi è però limitato ad alcuni significativi settori, anche se rischia di avere conseguenze anche sulla popolazione palestinese della Cisgiordania. Le sanzioni possono essere aggirate passando attraverso Paesi terzi: secondo alcuni rapporti israeliani è già successo attraverso la Slovenia. Allo stesso tempo, le due economie sono importanti, ma non centrali l'una per l'altra. Il divieto di esportazione deciso da Ankara riguarda anche prodotti chimici, pesticidi alluminio, acciaio, cemento, materiali edili, granito, olio per motori, carburante per aerei.
Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha deciso di rispondere così alle accuse rilanciate sui social media: nelle ultime settimane si erano moltiplicati i messaggi in cui si accusava la Turchia di fare affari con lo Stato ebraico, dimenticando la popolazione palestinese. La diffusione di queste informazioni hanno contribuito al tracollo del partito di Erdogan nelle elezioni amministrative dello scorso 31 marzo. Prima del 7 ottobre e dell'inizio del conflitto Turchia e Israele avevano normalizzato i rapporti diplomatici dopo un decennio di polemiche e accuse. La lunga storia di tensioni tra i due Paesi, da sempre causata dalle politiche israeliane nei confronti dei palestinesi, non hanno però intaccato il commercio. Stavolta le cose sono andate diversamente e a partire dallo scorso ottobre alcune catene di supermercati israeliani hanno bloccato l'import di prodotti turchi e in generale, in base ai dati ufficiali, il commercio tra i due Paesi era già calato del 33% prima delle sanzioni.
Le nuove misure sono destinate ad avere un impatto ulteriore per le economie dei due Paesi. L'export turco verso lo Stato ebraico del 2023 ammonta a 5.4 miliardi di dollari, il 2.1% del totale delle esportazioni di Ankara (secondo i dati del ministero dell'Economia). È anche il frutto di un trattato di libero commercio siglato nel 1996 e dell'esenzione da tassazione su alcuni prodotti entrata in vigore nel 2000. Queste intese hanno permesso di triplicare il volume di scambio commerciale tra i due Paesi tra il 2009 e il 2023, rendendo la Turchia il quinto esportatore verso Israele e lo Stato ebraico il decimo importatore per Ankara. L'export turco verso Israele si basa su acciaio, prodotti meccanici, chimici, apparecchi elettronici, tessile, cemento, vetro, ceramiche, carta e prodotti per la silvicoltura. Il 60% del volume commerciale tra i due Paesi è costituito da esportazioni turche, il restante 33% da esportazioni israeliane.
È il settore dell'export dell'acciaio quello destinato a subire le conseguenze più pesanti delle sanzioni: ogni anno la Turchia esporta verso Israele 726 mila tonnellate di acciaio, il 20% del totale esportato dalle aziende turche che producono questo materiale. Israele invece dovrà fare i conti con il divieto di vendita di cemento deciso dal governo turco. Il 30% del cemento importato dallo Stato ebraico ogni anno viene infatti dalla Turchia e il prezzo di case e appartamenti è destinato a impennarsi. Proprio il blocco alla vendita di cemento, mattoni e materiale edile, in un momento in cui case e infrastrutture, soprattutto al confine libanese, necessitano di riparazioni, è destinato ad avere conseguenze politiche. Al contrario ben l'11 % della plastica importata dalla Turchia proviene da Israele e anche qui Ankara dovrà cercare alternative.
La conseguenza più pesante riguarda però la fine della prospettiva di una collaborazione per un gasdotto che porti verso l'Europa il gas israeliano, attraverso la Turchia: a questo progetto i due Paesi stavano attivamente lavorando prima del 7 ottobre. Le sanzioni decise da Ankara rischiano di avere anche un impatto sulla popolazione palestinese. I porti di Haifa e Ashdod sono infatti i punti di approdo, israeliani, per i prodotti destinati alla Cisgiordania. Il volume di interscambio commerciale tra Turchia e Cisgiordania è cresciuto negli ultimi anni fino a sfiorare il miliardo di dollari su base annuale. La vendita di ferro, acciaio, legno, olio vegetale, tabacco, generi alimentari rende la Turchia il secondo fornitore sul mercato palestinese dopo Israele.