AGI - La Turchia ha intensificato l'intervento militare in nord Iraq dopo che il presidente Recep Tayyip Erdogan aveva promesso di "voler chiudere i conti" con i miliziani separatisti curdi del Pkk. Mercoledì mattina l'esercito di Ankara ha annunciato che gli F16 hanno fatto saltare in aria 27 tra depositi di munizioni e rifugi dei separatisti curdi, sono state diffuse immagini relative la distruzione di un veicolo con a bordo Rojda Bilen, uno dei capi del Pkk in nord Iraq, colpito da un drone. Negli stessi minuti circolava la notizia di 139 sospetti membri dell'organizzazione arrestati in 15 diverse province del Paese.
La reazione di Ankara arriva dopo che un militare è rimasto ucciso lo scorso fine settimana e altri 4 feriti sulle montagne al confine tra Turchia e Iraq. Una vittima che si aggiunge agli altri 12 soldati turchi che hanno perso la vita in nord Iraq nelle scorse settimane. "Vogliamo mettere in sicurezza il nostro confine con l'Iraq prima dell'estate e finire il lavoro anche in Siria. Pretendiamo che tutti nella regione rispettino la nostra strategia e il nostro bisogno di sicurezza. Al contrario potrebbero sorgere tensioni", ha dichiarato il presidente turco.
I difficili rapporti con Baghdad
Una nuova pagina della guerra tra Ankara e Pkk, un conflitto iniziato nel 1984 e per decenni combattuto nel sud est e nelle aree rurali della Turchia, messe in sicurezza negli ultimi anni, quando gli scontri si sono concentrati nelle montuose province del nord Iraq. Obiettivo di Ankara è quello di stabilire una zona cuscinetto profonda 30-40 km oltre il proprio confine. Un'operazione possibile in Siria, a causa dell'incertezza politica derivante dal post guerra civile, ma che per l'Iraq necessita del via libera del governo di Baghdad. Quest'ultimo ha mal digerito i continui sconfinamenti territoriali degli F16 di Ankara e protestato ripetutamente negli ultimi anni.
La scorsa settimana il capo dei servizi segreti turchi Ibrahim Kalin, il ministro degli Ester, Hakan Fidan e il ministro della Difesa Yasar Guler, sono volati in Iraq per una serie di incontri mirati a spianare la strada a un'intesa con il governo iracheno e alla visita che Erdogan effettuerà proprio in Iraq ad Aprile. Al termine della visita le due delegazioni hanno emesso un comunicato attraverso cui si impegnano a collaborare nella lotta al Pkk, definito "una minaccia alla sicurezza di entrambi i Paesi" che il governo di Baghdad d'ora in avanti considera "organizzazione terroristica". Il governo turco, nel frattempo, intensificato la pressione nei confronti del partito Puk di Bafel Talabani, perché ritiri pubblicamente qualsiasi forma di sostegno al Pkk nel nord dell'Iraq.
Quali scenari se gli Usa si ritirano?
Aspetto fondamentale per gli sviluppi dei prossimi mesi e l'impegno comune nel contrasto al Pkk. Ankara a partire dalla fine dello scorso novembre ha intensificato le operazioni e non intende fermarsi fino alla costituzione della già citata zona cuscinetto. Un'arma per convincere Baghdad nelle mani di Erdogan è il progetto di sviluppo infrastrutturale che prevede la costruzione di 1.200 chilometri di autostrada tra la città irachena di Basra e la Turchia. Un piano di sviluppo che può portare soldi e occupazione e che fa gola a Baghdad, per realizzare il quale è però necessario eliminare da diverse province il Pkk. Un progetto che assume in prospettiva ancor più valore, alla luce dell'incertezza relativa la sicurezza dei trasporti marittimi nel Mar Rosso.
Altro fattore da tenere in considerazione è la pressione da parte del governo iracheno nei confronti degli Stati Uniti, cui Baghdad chiede di richiamare le proprie truppe. Una prospettiva su cui a Washington si sta lavorando; una possibilità destinata a diventare sempre più concreta se Donald Trump dovesse vincere le prossime elezioni. Il ritiro delle truppe Usa aprirebbe però enormi spazi all'Iran per espandere la propria influenza in Iraq. Una prospettiva che il governo iracheno può contrastare proprio innalzando al massimo il livello di collaborazione con la Turchia.