AGI - Invasione dell'Ucraina, repressione in Russia, confronto con l'Occidente: è da signore della guerra autoritario che Vladimir Putin, al potere da un quarto di secolo, è stato confermato oggi al Cremlino per altri sei anni, fino al 2030, con l'87,34% dei voti sulla base dei risultati dell'elaborazione del 50,02% delle schede. Per lui sono già stati espressi più di 33,95 milioni di voti cittadini, come risulta dai dati pubblicati sul tabellone della Commissione elettorale centrale della Federazione Russa. Al secondo posto si trova il candidato del Partito Comunista della Federazione Russa Nikolai Kharitonov, che ha ottenuto il 4,11% dei voti, seguito dal candidato del Partito Nuovo Popolo Vladislav Davankov, che ha ottenuto il 4,01% dei voti. Al quarto posto si trova il candidato LDPR Leonid Slutsky con il 3,11% dei voti.
Il leader russo, che ha riformato la Costituzione nel 2020 per poter restare in carica fino al 2036, ha già ricoperto due mandati di quattro anni e due di sei anni, con un intermezzo come Primo Ministro tra i due. La scalata al potere compiuta da Putin - da agente del Kgb sovietico alla poltrona del Cremlino dove è arrivato il 31 dicembre 1999 - ha messo in luce negli anni due caratteristiche del suo regime. La prima, quella di un costante repulisti degli oligarchi, la guerra cecena, il soffocamento delle libertà, dei media e dell'opposizione e la seconda: la ricerca del potere geopolitico, con la guerra in Georgia del 2008, l'annessione della Crimea nel 2014, l'intervento militare in Siria nel 2015 e l'invasione dell'Ucraina nel 2022.
L'Europa, in particolare la Germania di Angela Merkel, credeva di poter incanalare queste ambizioni, scommettendo sull'interdipendenza economica attraverso massicci acquisti di gas russo. Ma si era illusa e a 71 anni, Vladimir Putin sembra indistruttibile. Il padrone del Cremlino è certamente invischiato nella guerra in Ucraina e il suo esercito ha subito umilianti sconfitte, ma non si ferma e punta a una vittoria logorante grazie alla stanchezza dei donatori occidentali e della popolazione ucraina. E, due anni dopo l'inizio dell'invasione, Putin ha motivo di essere ottimista: il suo esercito ha conquistato la citta' fortezza di Avdiivka, a est, e sta pressando le truppe ucraine prive di munizioni e di rinforzi.
Alla fine di febbraio il presidente russo ha promesso che i suoi soldati "non si ritireranno" dall'Ucraina perché per la Russia si tratta di una "questione di vita o di morte". Non appena è stato lanciato l'assalto, ha accusato l'Ucraina di "nazismo", ha rivendicato i suoi territori e ha presentato il conflitto come una guerra per procura ordita dagli americani. Da allora qualsiasi opposizione all'invasione è stata punibile con il carcere.
Migliaia di russi sono stati perseguiti, imprigionati o costretti all'esilio. Non contano le sanzioni occidentali, non contano la Corte penale internazionale che lo persegue Putin per la deportazione di bambini ucraini e non contano le perdite dell'esercito, perché il presidente russo si è dato una missione: porre fine all'egemonia occidentale. In ottobre aveva annunciato che il suo "compito è costruire un mondo nuovo".
Putin puo' vantare la vicinanza alla Cina, approfittare della sete di idrocarburi dell'Asia o anche di quei Paesi africani che si rivolgono a Mosca e ai suoi gruppi paramilitari per contrastare il "neocolonialismo" occidentale. Il leader russo ha un altro filo conduttore: per lui la Russia e' il portabandiera dei valori "tradizionali", a fronte di quella che giudica la "decadenza" morale dell'Occidente e la sua tolleranza nei confronti delle persone Lgtb.
L'economia russa ha generalmente assorbito lo shock delle sanzioni occidentali, nonostante l'inflazione e la dipendenza dalla produzione militare, ma per quanto potente possa essere, il presidente deve ancora affrontare delle sfide. La guerra in Ucraina è lungi dall'essere vinta. La capacità dei russi, delle elite e dell'economia di resistere a questo conflitto nel tempo rimane la vera questione aperta.
L'ammutinamento nel giugno 2023 dei mercenari di Wagner, guidati da Yevgeni Prigojine, da tempo uno dei suoi fedelissimi, ne è un esempio. La morte dei leader ribelli in un incidente aereo, presentata come accidentale, ha permesso al Cremlino di chiudere questo capitolo. Sul piano politico interno, il Cremlino non tollera più l'opposizione. Alcuni sono morti, come Alexei Navalny o Boris Nemtsov, e moltissimi sono dietro le sbarre per aver denunciato l'invasione dell'Ucraina. Tuttavia, per la maggior parte dei suoi connazionali, Vladimir Putin rimane colui che per primo ha restituito onore a una Russia minata dalla povertà, dalla corruzione e dal declino alcolico del suo predecessore Boris Eltsin.
Quando entrò al Cremlino, a 47 anni, promise amicizia agli occidentali e sviluppò l'economia, approfittando dei prezzi del petrolio. I leader occidentali gli spalancavano le porte nonostante la repressione fosse già in atto, nonostante gli abusi in Cecenia. Ma i semi del divorzio dall'Occidente erano già stati piantati e germogliarono nel 2007 quando a Monaco si lancio' in un virulento attacco ai leader occidentali, accusando la Nato di minacciare la Russia e criticando gli Stati Uniti perché si vedono come "l'unico sovrano" del mondo. Argomenti poi riciclati per giustificare l'invasione dell'Ucraina.