AGI - Tra le strette strade di Istanbul che portano verso il Bosforo è sempre più facile imbattersi in attori, telecamere, sceneggiatori e registi, impegnati a girare una delle sempre più numerose serie tv che la Turchia lancia sulle piattaforme di tutto il mondo. Sono ormai circa 60 le serie prodotte ogni anno in Turchia. E sono ormai più di 150 le produzioni che dal 2002 hanno esportato immagini, musiche, storie ed elementi culturali del Paese sugli schermi di 170 Paesi, Italia inclusa. E' il risultato di un percorso durato 15 anni, nel corso dei quali la Turchia è riuscita a diventare il secondo esportatore al mondo di serie tv dopo gli Stati Uniti.
Un boom che supera le barriere linguistiche avvalendosi della cultura turca, da sempre estremamente variegata e specchio di un Paese a cavallo tra oriente e occidente, veicolo per raccogliere un seguito sempre maggiore in Sud America, Medio Oriente, Nord Africa, Balcani e anche Europa.
Se infatti all'inizio le serie turche venivano vendute e seguite in Medio Oriente, Nord Africa e Balcani, vale a dire territori un tempo sotto il dominio ottomano, ora sempre più Paesi le inseriscono nei palinsesti in prima serata e con gli ultimi successi ottenuti negli Stati Uniti (in particolare presso gli ispanici) è crollata anche l'ultima barriera del successo delle serie 'made in Turkey'. Le classiche e intramontabili storie d'amore tormentate, intrighi familiari, tradimenti, indagini giudiziarie deviate, storie di mafiosi e avventurieri, rispecchiano un bagaglio culturale comune a molti e alla portata dei più. Sono tre le linee narrative seguite dalle serie turche: romantiche, storiche e azione. Ognuno di questi racconta un lato della Turchia.
Se nel primo, oltre all'amore, risaltano spesso importanza e centralità dei legami familiari e aspetti della vita di metropoli come Istanbul, ma anche di sperduti villaggi anatolici, le serie storiche affondano nel passato glorioso dell'impero ottomano o delle tribù guerriere che a cavallo conquistarono l'Anatolia. Al contrario i thriller spesso sono ispirati da storie di cronaca e presentano la contrapposizione buoni e cattivi che funziona sempre.
L'aspetto comune a queste linee narrative è che tutte propongono il 'brand Turchia': seppur in forme diverse, il Paese appare nei suoi tratti più accattivanti e affascinanti. Un fenomeno divenuto ormai una forma di vero e proprio soft power.
L'ascesa delle serie tv turche inizia infatti negli anni 2000 e coincide con il periodo caratterizzato dal governo del partito Akp del presidente Recep Tayyip Erdogan, che divenne premier nel 2002.
Da allora la Turchia ha applicato un approccio in politica estera estremamente attivo e multidirezionale, una strategia portata avanti sia attraverso le dure prese di posizione e gli aut aut di Erdogan, ma anche attraverso il soft power di cui le serie tv sono la punta di diamante.
Il mondo delle soap affascina e avvolge, creando nell'opinione pubblica di altri Paesi una sorta di empatia e simpatia verso i turchi.
Il risultato è che secondo i dati forniti dal ministero della Cultura turco sono circa 700 milioni i telespettatori che nel mondo garantiscono il successo della produzione turca. Tra i motivi del 'boom' delle serie turche anche un meccanismo di produzione che, a costi ridotti, garantisce una produzione costante e di qualità accettabile anche in mercato dominati da produzioni con budget stellari.
Il regista Yusuf Pirhasan, autore della serie "La morra cinese", raggiunto da Agi spiega che in un mese e mezzo possono essere girati, montati e tradotti tre episodi pilota.
"La fase di scrittura, set, montaggio e messa in onda è all'inizio velocissima - spiega ad Agi -. Tre episodi di due ore vanno in onda a distanza di una settimana l'uno dall'altro e poi subentrano lo share e le reazioni del pubblico. Se la serie va bene allora la produzione da il via libera ad andare avanti. Nel migliore dei casi la storia finisce sulle piattaforme streaming e viene trasmessa all'estero". Il passaggio sul mercato internazionale avviene anche attraverso la riduzione da format di due ore a un numero maggiore di puntate di 45 minuti; un intervento sui tempi del racconto che permette anche di riadattarlo inserendo gli stacchi pubblicitari, e di conseguenza garantendo più introiti.
La formula vincente, l'ultima finita sulle piattaforme streaming, prevede una serie tra gli 8 e i 12 episodi brevi, diretti e ricchi di punti interrogativi cui solo la puntata seguente può dare una risposta. Con il risultato di feedback e reazioni social la serie può subire aggiustamenti e variazioni in corsa che riguardano la trama e la centralità dei personaggi, in base a quelli "che risultano più amati" e che possono essere protagonisti anche in 15 episodi. Tuttavia una volta lanciate non è sempre facile prevedere le traiettorie di storie e attori. Un esempio in questo senso è Can Yaman, attore di Daydreamer, una serie ambientata a Istanbul e divenuta popolarissima in Italia. Yaman con la bravura, la bellezza e un ottimo italiano imparato al Liceo di Istanbul, è diventato un personaggio ormai amatissimo in Italia, molto più che in Turchia. Sebbene la politica rimanga fuori, domina il racconto della vita nel Paese, anche se in maniera romanzata. Tuttavia l'aderenza alla realtà si sta tramutando sempre più in uno specchio della vita in Turchia che offre spunti politici. Il tema curdo, la violenza nazionalista, le contraddizioni del sistema giudiziario per esempio, sono temi sempre più presenti. Anche se nelle trasmissioni all'interno del Paese alcool e sigarette vengono offuscati, la pressione sulle produzioni da parte della politica non ha negli ultimi anni portato a eclatanti episodi di censura. E' il risultato della libertà garantita dalle piattaforme internazionali e dai soldi che piovono da queste. Inoltre il turismo dai Paesi dove le serie turche sono più popolari ha raggiunto numeri impressionanti, specie dal Sud America. Tutti fattori che hanno contribuito a far storcere il naso, ma mantenere il silenzio a governo e Authority turche. Come sempre pecunia non olet.