AGI - Gli effetti del cambiamento climatico si annunciano disastrosi anche per le aree sciistiche, con previsioni di nevicate sempre meno frequenti, con conseguenti risvolti economici ed ecologici. A rivelarlo uno studio internazionale, pubblicato su PLOS ONE. In questo studio, i ricercatori, tra cui Veronika Mitterwallner, dell’Università di Bayreuth, in Germania, hanno previsto l’andamento dei giorni di innevamento naturale in base a tre diversi scenari di cambiamento climatico. Il primo prevedeva basse emissioni di CO2, il secondo alte emissioni e il terzo altissime emissioni. I risultati suggeriscono una significativa diminuzione della copertura nevosa in tutte le aree sciistiche, da una media di 216 giorni di innevamento in passato a 141 giorni di innevamento in uno scenario ad alte emissioni, con una riduzione particolarmente rapida nelle aree a bassa quota.
La ricerca prevede, inoltre, che i giorni di innevamento annuale in tutte le principali regioni sciistiche diminuiranno drasticamente a causa dei cambiamenti climatici, con un'area sciistica su 8 che perderà del tutto il manto innevato naturale nel corso del secolo in scenari di emissioni elevate. Secondo gli scienziati, la scarsità di neve potrebbe spingere i famosi centri sciistici verso aree più remote e minacciare i mezzi di sussistenza delle popolazioni locali e la biodiversità delle specie d’alta quota. Le destinazioni sciistiche più popolari subiscono gli impatti del cambiamento climatico, che includono la riduzione delle precipitazioni nevose in regioni di tutto il mondo. Nonostante l’importanza sociale, economica ed ecologica dell’industria sciistica, esistono poche ricerche su come la distribuzione delle aree sciistiche sia influenzata dai cambiamenti climatici a livello globale.
Gli studi esistenti sono su piccola scala e si concentrano su Europa, Nord America e Australia. A tal proposito, Mitterwallner e colleghi hanno esaminato l’impatto dei cambiamenti climatici sulla copertura nevosa naturale annuale in sette grandi regioni sciistiche: Alpi europee, Ande, Appalachi, Alpi australiane, Alpi giapponesi, Alpi meridionali, situate in Nuova Zelanda, e Montagne Rocciose. I ricercatori hanno identificato le località sciistiche specifiche all’interno di queste sette regioni, utilizzando OpenStreetMap.
Le Alpi europee, il più grande mercato sciistico globale, rappresentano il 69% di queste aree. I ricercatori hanno anche usato il database climatico pubblico CHELSA, che ha permesso di prevedere i giorni di copertura nevosa annuale per ogni area sciistica, per i periodi compresi tra il 2011 e il 2040, tra il 2041e il 2070 e tra il 2071 e il 2100, in base a scenari di emissioni di carbonio basse, alte e molto alte. Secondo lo scenario ad alte emissioni, le stime rivelano che il 13% delle aree sciistiche perderà tutta la copertura nevosa naturale entro il 2071 e il 2100, rispetto ai valori di riferimento storici. Il 20% perderà più della metà dei giorni di innevamento all’anno.
Entro il 2071-2100, si prevede che i giorni medi di innevamento annuo diminuiranno maggiormente nelle Alpi australiane, con una percentuale del 78%, seguono poi le Alpi meridionali con il 51%, le Alpi giapponesi con il 50%, le Ande con il 43%, le Alpi europee con il 42% e, infine gli Appalachi con una riduzione del 37%, mentre si prevede che le Montagne Rocciose subiranno il calo minore, pari al 23% rispetto ai valori storici di riferimento. I ricercatori ritengono che la diminuzione della copertura nevosa potrebbe spingere le stazioni sciistiche a spostarsi o a espandersi in aree meno popolate, minacciando potenzialmente le piante e gli animali alpini, già messi a dura prova dal clima.
I resort che privilegiano la neve finta potrebbero affidarsi a pratiche di innevamento tecnico, come la produzione di neve artificiale, ma a prescindere da ciò, gli autori prevedono che la redditività economica delle stazioni sciistiche diminuirà a livello globale. “Lo studio preannuncia una significativa perdita futura della copertura nevosa naturale nelle aree sciistiche di tutto il mondo, suggerendo potenziali spostamenti spaziali della distribuzione delle aree sciistiche, che possono essere una minaccia per gli ecosistemi di alta quota”, hanno dichiarato gli autori. Risultati di precedenti studi, che hanno analizzato le conseguenze della crisi climatica sulle stazioni sciistiche, sono stati altrettanto preoccupanti.
Una ricerca, pubblicata su Nature Climate Change lo scorso agosto, condotta da un gruppo di ricerca guidato da Hugues François, dell’Università di Grenoble, ha previsto il rischio, per ben 2234 impianti sciistici europei, di scarsità di neve, basandosi sulle ipotesi di un aumento della temperatura media globale di 2 e 4 gradi Celsius. Prendendo in esame lo scenario peggiore, un riscaldamento di 4 gradi, i ricercatori hanno stimato che il 98% delle località sciistiche si troverebbe ad affrontare un rischio molto elevato, per la disponibilità di neve naturale. Ma, anche se si riuscisse a contenere l’aumento della temperatura globale entro i 2 gradi, un limite che però probabilmente verrà superato entro la metà di questo secolo, più della metà delle località oggetto dello studio avrebbe difficoltà a reperire neve naturale.
A causa delle scarse nevicate, molti impianti oggi si sono adeguati affidandosi alla neve artificiale. Il 90% delle piste da sci in Italia, il 70% in Austria, il 53% in Svizzera, il 37% in Francia e il 25% in Germania sono innevate utilizzando cannoni da neve, secondo i dati diffusi nel 2021 dall’associazione svizzera dei gestori di impianti di risalita, Seilbahnen. Ma, la neve artificiale non è una soluzione miracolosa, come rivela uno studio condotto dalla squadra di François. Anche nel caso in cui riuscissero a coprire in media il 50% delle piste con neve finta, il 71% delle stazioni sciistiche si troverebbe comunque a fare i conti una scarsa disponibilità di neve, in uno scenario che prevede un aumento della temperatura globale di 4 gradi, il 27% con un aumento di 2 gradi. Come se non bastasse, la neve artificiale ha un notevole costo ambientale, con un consumo di grandi quantità di acqua e di energia, spianando la strada alla crisi climatica.