AGI - Sono passati cinque mesi da quel sabato 7 ottobre quando circa 3 mila uomini di Hamas penetrarono in Israele da Gaza e fecero irruzione nei kibbutz e nelle basi militari intorno alla Striscia, compiendo un massacro come mai avvenuto prima nella storia del Paese. Oltre 1.100 persone furono trucidate, oltre 250 furono rapite e portate nell'enclave palestinese, dando avvio a un incubo collettivo che dura ancora oggi. I miliziani devastarono le comunità, saccheggiandole, per poi appiccare il fuoco. Gli abitanti, chiusi dentro le stanze di sicurezza, rimasero ore rintanati a chiedere aiuto mentre fuori sentivano le grida e i colpi delle armi da fuoco. Gli uomini di Hamas presero di mira anche le basi militari della zona, ingaggiando scontri a fuoco, uccidendo i soldati e bloccando i soccorsi per i residenti dei kibbutz intrappolati. Alcune persone furono falciate in strada, in macchina, in attesa alla fermata dell'autobus. Tante altre furono massacrate nelle abitazioni, sotto gli occhi dei familiari. Tra i luoghi colpiti, anche il Nova Festival, appuntamento musicale che aveva richiamato a Rèim centinaia di giovani. In 364 non sono mai tornati da lì e altri 40 furono trascinati via su pickup e moto nella Striscia. Il 'black shabbat', come è stato ribattezzato, ha segnato un punto di svolta per lo Stato ebraico, che mai prima di allora aveva subito un attacco così massiccio. A una prima campagna di raid aerei contro Gaza è seguita una vasta operazione di terra, sostenuta da massicci bombardamenti, con le forze armate penetrate nella Striscia partendo da nord e arrivando fino a Rafah, nell'estremo sud al confine con l'Egitto.
In cinque mesi, il bilancio delle vittime palestinesi - fornito dal ministero della Salute gestito da Hamas - è di almeno 30.800 morti, in maggioranza donne e bambini, e 72.298 feriti. La situazione per la popolazione civile è drammatica, oltre un milione e mezzo di abitanti hanno lasciato le proprie abitazioni e sono sfollati nel sud dell'enclave, accampati dove possono, cercando rifugio dalle bombe israeliane. Mancano cibo e medicinali, si comincia a morire di fame mentre gli aiuti stentano ad arrivare. La settimana scorsa, oltre 100 hanno perso la vita durante una consegna di pacchi nel nord della Striscia. Di fronte alla strage, la comunità internazionale - Usa compresi - ha aumentato la pressione su Israele perchè faccia entrare più camion, mentre si ragiona su un possibile corridoio marittimo tra Cipro e Gaza ed è stata avviata una campagna per paracadutare gli aiuti dal cielo, ma resta una goccia in mezzo al mare.
Dei 250 ostaggi, in maggioranza israeliani ma anche stranieri che lavoravano nelle comunità agricole, più di 120 sono stati rilasciati lo scorso novembre nell'ambito di un accordo per una tregua, in cambio della scarcerazione di centinaia di detenuti palestinesi. Dei 130 ancora nelle mani di Hamas e altre organizzazioni terroristiche nella Striscia, Israele ritiene che un centinaio siano ancora vivi. Gli intensi negoziati in corso da settimane per arrivare a una nuova intesa prima dell'inizio del Ramadan il 10 marzo per fermare i combattimenti e riportare a casa i rapiti si sono arenati: l'ultimo round di colloqui al Cairo ha raggiunto un punto morto e la delegazione del Movimento islamico ha lasciato la capitale egiziana. Le due parti sembrano lontane da un compromesso - nonostante le affermazioni speranzose dei mediatori coinvolti - ma secondo media locali il dialogo riprenderà la prossima settimana.