AGI - Sono passati cinquantasette anni dalla firma dell’Outer Space Treaty, che nel 1967 ebbe l’ambizione di scongiurare che la corsa al cosmo, allora agli albori, esacerbasse la competizione strategica tra Usa e Urss. Il presupposto del trattato era il riconoscimento dell’interesse comune dell’umanità in un’esplorazione e un utilizzo pacifici dello spazio extra-atmosferico. L’obiettivo era evitare che la concorrenza tecnologica conducesse la concorrenza militare tra i due blocchi a un nuovo livello. Nessuno avrebbe mandato armi nucleari in orbita o le avrebbe poste su corpi celesti.
Il testo non ha retto alla fine della Guerra Fredda. La multipolarità del mondo odierno si riflette anche nel moltiplicarsi di nuovi attori statali con programmi spaziali autonomi e avanzati, dalla Cina al Giappone, dagli Emirati Arabi a un’Unione Europea in cerca di indipendenza strategica. Il tema dello sfruttamento delle risorse minerarie lunari non è più remoto ed è urgente trovare una base normativa condivisa per estrarle e commerciarle. La sovranità nazionale si estende ormai ai crescenti sciami di satelliti. E i detriti spaziali pongono problematiche che investono una molteplicità di settori, da quello assicurativo a quello della sicurezza.
La necessità di un aggiornamento del corpus giuridico che regola le attività umane nello spazio è stata la principale questione affrontata dal convegno “Comparative Visions in Space Law”, organizzato da Sirio Zolea all’Università Roma Tre l’8 e il 9 febbraio, due giorni di tavole rotonde con relatori dai quattro angoli di un mondo dove le nazioni hanno da tempo iniziato a muoversi in ordine sparso sul fronte legislativo. Il diritto comparativo è sicuramente l’ambito accademico più adatto ad affrontare una giurisprudenza che continua a crescere in modo rapido. Ma è il diritto internazionale che dovrebbe fornire i principi base per renderlo meno frammentario.
Armi di distruzione di massa extratmosferiche?
Dietro i più complessi quesiti dottrinali si stagliano interrogativi assai concreti e brutali, anche di natura militare, vista “la natura duale della tecnologia spaziale” illustrata da Sebastiano Fulci, diplomatico dell’ufficio per gli Affari Politici e di Sicurezza della Farnesina. La tecnologia alla base dei moderni propulsori, in fondo, nasce con i razzi V2 che il Terzo Reich scagliò sull’Inghilterra. Sebbene alcune leggi “prevengano in parte una proliferazione di tecnologie spaziali pericolose”, è il monito di Fulci, “c’è il rischio di proliferazione di armi di distruzione di massa e del loro utilizzo da parte di terroristi o Stati canaglia”. O di guerre vere e proprie. Cosa potrebbe accadere se tra alcuni anni due superpotenze si scontrassero per il controllo di un giacimento lunare?
Se Fukuyama avesse avuto ragione, ci porremmo queste domande con minore preoccupazione. Uno scenario geopolitico sempre più conflittuale rende però, al momento, inattuabile un percorso condiviso. Naturale quindi che gli Stati Uniti abbiano deciso di muoversi prima di tutti con il Commercial Space Launch Competitiveness Act del 2015, che consente alle industrie americane di “impegnarsi nell’esplorazione e nello sfruttamento commerciale delle risorse spaziali” benché Washington non intenda “rivendicare sovranità o diritti sovrani esclusivi o giurisdizione o proprietà su un qualsiasi corpo celeste”. Un precedente che si è guadagnato l’adesione di alcuni Paesi e il rigetto, prevedibile e inevitabile, di altri.
Interpellato dall’Agi, Frans von der Dunk dell’University of Nebraska, tra gli oratori della prima giornata, riconosce che l’accelerazione abbia consentito agli Usa di ottenere un indubbio vantaggio competitivo ma non ritiene ci fossero alternative realistiche. L’elefante nella stanza resta Pechino e non è concepibile un nuovo trattato internazionale che non abbia il suo placet. “Si va verso una graduale accettazione della posizione statunitense”, ha affermato Von der Dunk, “da una parte la Cina non si impegnerà ma in qualcosa dove gli Usa abbiano il ruolo di guida, dall’altra ci sono ragioni legali che rendono molto ristrette le prospettive di una collaborazione con la Cina, a partire dai fortissimi limiti, anche autorizzativi, al trasferimento di tecnologie”.
Tante leggi nazionali, nessun accordo globale
L'iniziativa degli Usa non sarebbe rimasta isolata a lungo. Fondamentale è la legge del Lussemburgo, cruciale centro finanziario europeo, sull’esplorazione e l’utilizzo delle risorse spaziali. Nel 2019 e nel 2021 si sarebbero mossi sulla stessa linea Emirati Arabi Uniti e Giappone. La Cina è indietro sulla tabella di marcia. L’India prova a correre: Purvi Pokharyal e Deepa Dubey dell’Università di Gandhinagar hanno illustrato un programma piuttosto avanzato. E a marzo arriverà in Consiglio dei Ministri la legge sullo spazio italiana, che ambisce a fornire precedenti per l’imminente Space Act dell’Unione Europea. C’è chi invece, come la Russia, il Brasile e il Belgio, teme un monopolio a stelle e strisce e sostiene che leggi nazionali che regolino lo sfruttamento e la vendita delle risorse spaziali violino i trattati. Ignazio Castellucci dell’Università di Teramo ha espresso l’auspicio che prevalga il modello dell’Antartico, privo di installazioni belliche, ma prevede che le missioni future avranno sempre un profilo sia scientifico che militare.
Von der Dunk dubita che ci sarà un nuovo accordo di carattere globale, “dato l’attuale clima politico”. “È probabile che con il tempo sarà accettata la legittimità di licenze unilaterali che rispettino il diritto internazionale”, ha proseguito, citando come possibile modello “la legge dei mari aperti, che non appartengono a nessuno e dove chiunque può andare a pescare”. Nondimeno, il rischio di un depauperamento delle risorse ittiche ha portato alla negoziazione di quote, quindi il problema – nel lungo periodo – si porrà. Sono già in molti a sostenere che sarà la Luna a fornire una soluzione al problema dei colli di bottiglia che la vitale industria dei semiconduttori ha incontrato negli ultimi anni a causa della scarsità delle materie prime necessarie.
“Non penso saremo mai in grado di tornare a un trattato sulla Luna, qualcosa su cui presieda un organismo internazionale”, ammette Von der Dunk, “non credo accadrà ma forse un numero sufficiente di nazioni si schiererà con gli Stati Uniti o con la legge consuetudinaria internazionale”. Al momento c’è il principio della libertà estrattiva sulla Luna fissata dagli Accordi Artemis, che nel 2020 avevano riscosso l’adesione iniziale di Australia, Canada, Emirati, Giappone, Italia, Lussemburgo e Regno Unito e ora sono saliti a 35 firmatari, tra cui buona parte dei membri dell’Agenzia Spaziale Europea, ultimo dei quali la Grecia, proprio questo 10 febbraio. La Russia ha discusso una cooperazione con la Cina e sta trattando un accordo bilaterale con il Lussemburgo. “Io temo si andrà verso lo scenario peggiore, una potenziale fonte di conflitti in cui un Paese potrebbe accusare un altro di sfruttamento illegale di risorse. Servirebbe un quadro di regole più rigido”, ha concluso l’accademico americano.
E alla fine arriva Musk
A rendere la faccenda ancora più complicata è che, nel frattempo, è arrivato Elon Musk. Il coinvolgimento di soggetti privati così potenti nei programmi spaziali pone il rischio che siano gli imprenditori a scrivere le leggi, ha paventato Anna Marotta, dell’Università della Campania. “Non ho mai visto gli interessi di così tanti operatori privati diventare legge quasi immediatamente come ora”, ha chiosato Iva Ramus Cvetkovic dell’Università di Lubiana: la presenza di operatori privati mette a rischio la trasparenza del processo decisionale, che vede recedere l’interesse pubblico.
I vuoti normativi aggredibili sono parecchi. “L’assenza di una legge comune sulle assicurazioni costituisce un problema”, spiega, ad esempio, Diana Cerini dell’Università di Milano-Bicocca, “l’assicurazione è centrale nelle attività spaziali, che si stanno espandendo a una velocità formidabile e sono rischiose per principio, trattandosi di missioni pionieristiche, con rischi che qualcuno in passato definì non assicurabili”. Se i resti di un veicolo di una determinata nazione, al rientro dall’atmosfera, colpissero un centro abitato in un altro Paese, chi pagherebbe e come?
Anche sul fronte della Difesa “l’assenza di una legge è la fonte dei problemi”, ha osservato il generale Davide Cipelletti, dell’Ufficio per la Politica Spaziale del ministero della Difesa, che cita l’identificazione dei satelliti Starlink forniti da Musk all’Ucraina quali bersagli legittimi per le forze russe come un esempio delle sfide che ci attendono. “Lo spazio è congestionato, lo spazio è conteso, ed è un ambiente estremo”, ha avvertito.
Un altro vuoto riguarda la protezione della proprietà intellettuale. E, se appare pacifico che le leggi sulla proprietà di cose mobili si applichino in modo più o meno equivalente nello spazio, con i beni immobili si apre un territorio inesplorato, dato che si parlerebbe di appezzamenti di suolo lunare o marziano. Il Trattato sulla Luna del 1979 pone principi chiari sulla definizione dei corpi celesti come bene comune. Ma i mutamenti nelle relazioni internazionali e nella struttura dell’economia richiedono un immediato aggiornamento. E, se la colonizzazione di Marte è ancora nel libro dei sogni, l’estrazione di minerali dal nostro satellite inizia a diventare un’opzione sempre più concreta.