AGI - "Il centro della città? Perché vuoi andarci? E' tutto chiuso, c'è solo il cantiere". Questa la risposta di un abitante di Malatya spiazzato dalla domanda, mentre cammino sulla neve rimasta in strada dopo le nevicate dei giorni scorsi. Niente rispetto alla morsa di freddo che attanagliava questa città lo scorso anno peggiorando la situazione della gente costretta in strada dal devastante sisma 7.8 che devastò il Sud della Turchia. Cosa ci fa uno straniero in una città in cui, solo oggi 6 febbraio 2024, la terra ha tremato 10 volte. Scosse comprese tra il grado 2.4 e 3.2, ben lontane dal terremoto di un anno fa, il cui incubo rimane vivo nella popolazione.
"Una cosa è la terra che trema, una cosa sono i terremoti, ma quello che è successo un anno fa è stata una catastrofe", racconta ad AGI il signor Mehmet, che in un container commerciale vende tahina e crema di noci fatte in casa. La sua casa ha retto, ma non il negozio, crollato. Lo Stato gli ha fornito uno dei tanti container che tengono in vita le attività commerciali di una città da ricostruire. Parole che descrivono la realtà poche centinaia di chilometri dall'incrocio delle due grandi faglie che attraversano la Turchia, la faglia nord e la faglia est anatolica.
Una città dove la terra trema spesso, che appena lo scorso 25 gennaio ha subito una scossa di grado 5.2. Stessa magnitudo registrata alla fine di novembre, sempre qui. Se si calcolano solo le scosse superiori al grado 4 il bilancio è di 886 terremoti negli ultimi 10 anni, 88 in media ogni anno, praticamente una ogni 4 giorni (Dati Osservatorio sismologico di Kandilli ndr). Il 2023 è stato l'anno record: 660 le scosse di magnitudo superiore al grado 4 nel raggio di 300 km dal centro della città, il più forte il disastro di un anno fa di magnitudo 7.8, cui seguì di poche ore una scossa di grado 7.6.
"Quando la terra trema ormai non ci facciamo neanche più caso, i terremoti invece ci mettono in allarme, ci prepariamo a uscire se siamo in casa, come pochi giorni fa (25 gennaio), ma quello dell'anno scorso era un'altra cosa. Sei nelle mani di Dio e di nessun altro", continua Mehmet. Sono 1.237 i morti di quel tragico giorni di un anno fa, 173 mila coloro che hanno perso casa e vivono in una delle 74 città container. Una città che, nelle enormi difficoltà, ha votato in massa per il presidente Recep Tayyip Erdogan durante le elezioni dello scorso maggio.
Qui il leader turco ha preso il 69% delle preferenze e il motivo è la fiducia nel governo che ha promesso una città antisismica e ha fatto seguire un massiccio afflusso di ruspe e gru. "Lui (Erdogan) ci è sempre stato vicino e quello che promette lo fa. Viviamo qui e sappiamo di cosa abbiamo bisogno, non è facile ma abbiamo fiducia. Che dio lo benedica", spiega ad Agi Zekiye, una donna incontrata tra i banchi della frutta di questo mercato fatto di container. Il centro è lo specchio della drammatica situazione in cui versa la città, dove nell'ultimo anno 6.643 edifici sono stati demoliti.
Un enorme primetro delimita il cantiere dove gli scavi per le nuove fondamenta vanno avanti e sinceramente mi chiedo se ho mai visto un cantiere così esteso. La risposta è no. "Non uccide il terremoto, ma i palazzi. Questa è l'occasione per creare una città nuova, più sicura e più ecologica", spiega il prefetto Ersin Yazici. Parole che descrivono un panorama i cui sono pochi i palazzi in piedi, perlopiù edifici fantasma in attesa di demolizione. Il panorama è costellato da gru e movimenti di mezzi pesanti, sullo sfondo montagne completamente imbiancate dalla neve.
Mi colpisce la presenza di scritte sui muri che riportano tutte la medesima firma: C.Y. "Prima del 6 febbraio i nostri sorrisi erano i più luminosi, dopo il 6 febbraio il nostro dolore è stato il più nero", firmato appunto C.Y. Distante poche decine di metri uno dei pochi edifici che continua a spiccare è la Yeni Camii. Le porzioni di muro rimaste in piedi rivelano i resti di una elegante architettura di meta '800. Quel che resta di un edificio che ha subito il crollo della cupola e dei minareti. Da rifare anche il mercato coperto, il bazaar.
Quello che per decenni era stato il centro della vita commerciale della città è ora sostituito da 3.958 container commerciali dove il via vai di gente è ininterrotto. "Gli affari? Come sempre, non è cambiato molto, speriamo ci diano il nuovo negozio presto, ma la gente si è abituata e ormai viene qui a fare la spesa", rivela un venditore di frutta secca sul cui bancone spiccano le rinomate albicocche, in questa stagione secche, di cui questa città rifornisce tutta la Turchia. E il via vai di persone è continuo, nella precarietà si percepisce la resilienza della gente che ha accettato la situazione e abbracciato questa nuova normalità.
Un'altra scritta di C.Y. spicca in nero su un muro. "La Turchia festeggia il centenario, quando arriverà l'anno zero di Malatya?" E Malatya sembra davvero una città da rifare da zero o quasi. Fuori dal grande cantiere del centro camminare per la città significa imbattersi in enormi spazi vuoti tra i pochi palazzi in piedi, alcuni dei quali fantasma. Vuoti creati da crolli e demolizioni che hanno lasciato senza casa quasi 200 mila persone. "Speriamo di avere casa presto. Da un anno viviamo nel container con la famiglia e anche la scuola è nei container" racconta Fatih, 13 anni, a passeggio con due amici nella città dove 41 scuole sono state distrutte dal sisma e 46 danneggiate, ma l'istruzione ha ripreso, seppur tra mille difficoltà.
"Non sappiamo nulla, non abbiamo idea di quando riavremo una casa". Alla mia domanda su come vorrebbe la nuova città risponde: "Sarebbe bello anche se ci fossero dei parchi in questi spazi". Continuo a camminare e incontro un'altra scritta di C.Y. : "Non ci sono differenze tra poveri e ricchi. Il terremoto te lo ha ricordato?". Mi viene in mente la poesia 'A Livella' di Toto' nata non a Napoli, ma in questa città dell'Anatolia dove la terra trema tutti i giorni. Una città da ricostruire.