AGI - “Gaza è ridotta in rovine e quei pochi metri quadrati rimasti in piedi sono affollati da quasi 2 milioni di persone. Oltre ai rifornimenti, il problema più grande è lo spazio, la sua gestione, a maggior ragione negli ospedali”. A parlare dall’Egitto è Enrico Vallaperta, coordinatore medico di Medici Senza Frontiere (Msf) che ha concluso pochi giorni fa una missione all’ospedale di Al-Aqsa, al centro della Striscia di Gaza, e in un altro ospedale del Sud.
Un intervento di carattere emergenziale quello che sta portando avanti il team di Msf a Gaza, dove opera da oltre 20 anni, ma la situazione attuale “non ha nulla di normale” e “non si può definire attività umanitaria”, precisa il membro del team. “L’impatto del nostro intervento è molto limitato rispetto all’entità dei bisogni. Rappresenta una goccia nell’oceano, con 2 milioni di persone che necessitano di assistenza medica a vari livelli”, riconosce il medico, ringraziando lo staff palestinese che “lavora col sorriso, nonostante condizioni di vita estreme per se stessi e le proprie famiglie”.
La prima sfida per chi, come Vallaperta, opera a Gaza, sotto le bombe, “è la gestione delle infrastrutture e dei pochi rifornimenti a disposizione, quando arrivano”. Il coordinatore medico di Msf sottolinea che l’unicità di quel scenario risiede nel fatto che “qui nessun posto è sicuro” e “la gente non sa dove andare, non ha vie d'uscita”. Per questo motivo, durante la sua missione ad Al- Aqsa, oltre ai 700 pazienti curati, ha potuto constatare che migliaia e migliaia di sfollati in cerca di un posto un po' più sicuro si erano accalcati nelle vicinanze dell'ospedale.
Tuttavia l’ospedale principale al centro della Striscia è stato evacuato lo scorso 7 gennaio poiché troppo insicuro per il personale medico-sanitario. “E’ stato doloroso dover lasciare i 700 pazienti ricoverati. Per non parlare poi delle decine di migliaia di civili che hanno perso tutto e ora si trovano sotto tende di plastica, con meno 10 gradi di notte e sotto la pioggia. Come faranno a sopravvivere, anche perché di giorno in giorno la situazione sta peggiorando”, si interroga l’operatore Msf. Ad Al-Aqsa, oltre all’insicurezza il nodo principale è stato lo spazio insufficiente – come quello in cui collocare i pazienti dopo un intervento chirurgico – e la gestione oculata di forniture e farmaci. Nel Nord della Striscia, difficile da raggiungere, il quadro è ancora più complesso poiché scarseggia l’occorrente per medicare e curare i malati. Attualmente a Gaza è ancora in attività una quindicina di ospedali sui 46 in funzione abitualmente. “Finora abbiamo portato a Gaza 1,7 tonnellate di forniture dall’Egitto, principalmente aiuti medici, cibo e logistica, oltre ad aver fatto entrare e uscire il personale medico-sanitario che opera su rotazioni di un mese. I bisogni sono enormi e non riusciamo a soddisfarli anche perché ci sono tempi troppo lunghi per la consegna e i punti di accesso al territorio sono sempre meno”, riferisce Helen Ottens Patterson, coordinatrice di Msf per l’emergenza a Gaza. Prima del 7 ottobre, nel territorio palestinese giungeva solo il 50% delle necessità della popolazione, quindi ora, in una situazione estrema come quella della guerra le forniture sono di gran lunga insufficienti.
Le consegne di Msf si svolgono in coordinamento con i partner dell’Ong mentre gli operatori svolgono ogni giorno con coraggio la loro missione umanitaria, finora costata la vita a quattro membri della squadra.
“Reiteriamo il nostro appello che consiste in tre richieste chiave: cessate il fuoco immediato e incondizionato, la fine degli attacchi ai civili, agli ospedali, alle ambulanze e l’accesso totale agli aiuti umanitari (forniture mediche, cibo e acqua) nel rispetto del diritto umanitario internazionale”, prosegue Ottens Patterson. In prospettiva, evidenzia la coordinatrice, “toccherà alla giustizia internazionale competente stabilire se quello in atto è un genocidio, se vengono compiuti crimini di guerra da parte di Israele. Noi come Msf possiamo solo fornire prove e testimoniare di quanto sta avvenendo qui ogni giorno dal 7 ottobre”.
A patire di sofferenze che potrebbero essere affrontate diversamente non sono soltanto i feriti del conflitto, ma i bambini, soggetti più fragili che pagano il prezzo più alto in termini di impatto psicologico. Particolarmente colpite le donne incinte e i feti che portano in grembo - con un rischio aumentato di mortalità - gli anziani e quanti sono affetti da malattie croniche. “La popolazione è abbandonata a se stessa come conseguenza del mancato accesso umanitario senza restrizioni e dell'insufficienza dei rifornimenti" deplora Vallaperta. "Temiamo anche lo scoppio di epidemie dovute alla promiscuità e alle cattive condizioni di igiene e in prospettiva i danni alla salute mentale della popolazione, destinati ad esplodere. Ora la gente è troppo impegnata nella lotta alla sopravvivenza”, prospetta il medico di Msf. In una Striscia totalmente distrutta, nella desolazione di chi ha perso la fatica di un’intera vita di lavoro e sacrificio, al momento nessuno riesce nemmeno a pensare ad un ipotetico ritorno alla normalità, un giorno, se ci sarà.