AGI - La Turchia intensifica le operazioni contro i miliziani separatisti del Pkk, sia in nord Iraq e Siria sia all'interno del Paese. A ribadire la tolleranza zero di Ankara e i risultati ottenuti in questi giorni è stato il ministro della Difesa ed ex capo dell'esercito Yasar Guler: ha dichiarato che negli ultimi due giorni 78 terroristi sono stati uccisi e 114 obiettivi strategici colpiti (depositi di armi e munizioni, rifugi e postazioni). Guler ha anche rivendicato la creazione di una buffer zone profonda 30 km oltre il confine turco con Siria e Iraq.
"Questa gente non vale neanche un'unghia di uno dei nostri martiri. A chi ci chiede cosa ci facciamo in nord Iraq rispondo che siamo là per la sicurezza del Paese. Nessuno ci colpisce più in Turchia", ha detto Guler dinanzi al parlamento di Ankara, dove è stato chiamato a riferire in seguito alla morte di 21 militari turchi in nord Iraq, colpiti dal Pkk in tre diversi agguati avvenuti negli ultimi giorni. Nonostante l'operazione in corso la Turchia giura di non fermarsi.
"Abbiamo colpito il Pkk in Turchia e lo abbiamo costretto a spostare le operazioni in nord Iraq e Siria. Non ci fermiamo ora, continueremo a prendere precauzioni", ha garantito il ministro degli Esteri, Hakan Fidan, chiamato a riferire dopo Guler.
La notte tra domenica e lunedì proprio in nord Iraq, nella città di Suleymaniye, i servizi segreti di Ankara hanno colpito un importante esponente del Pkk, Hasan Seburi. Sulla stretta contro il movimento separatista curdo era intervenuto questa mattina il ministro degli Interni Ali Yerlikaya: 185 persone arrestate alle prime luci dell'alba nell'ambito di una maxi operazione, retate che hanno avuto luogo in 28 delle 81 province del Paese.
Tra gli arrestati figurano 20 donne appartenenti alla sezione femminile dell'organizzazione separatista curda, denominata Tja. Altre cinque sono ricercate. Una guerra che il governo turco sta combattendo anche sui social media: 126 titolari di account sono stati identificati in seguito a condivisioni ritenute "provocatorie" e "celebrative", in seguito alla morte dei militari turchi. Molti dei titolari identificati si trovano all'estero, ma per 22 residenti in Turchia è già scattato l'arresto.
Negli ultimi anni il presidente turco Recep Tayyip Erdogan è riuscito a spingere fuori dalla Turchia il Pkk. Un risultato ottenuto anche perchè Ankara non utilizza più militari di leva, ma solo professionisti. Un cambio di strategia che ha permesso al governo turco di stabilire diverse 'basi in nord Iraq.
Avamposti su cui il governo Erdogan tace, che però finiscono nell'occhio del ciclone quando soldati perdono la vita. L'area dove sono collocate le postazioni turche corrisponde alle montuose province oltre il confine turco.
Montagne sottoposte alla legislazione del governo del Kurdistan iracheno, autonomo ma non indipendente da Baghdad e da sempre dominato dal potente clan curdo Barzani. Quella dei Barzani è una famiglia al potere da quattro generazioni con cui Erdogan intrattiene ottimi rapporti. I Barzani sono infatti da sempre in guerra con il Pkk; a loro volta i separatisti curdi non riconoscono il governo del Kurdistan iracheno e creano non pochi grattacapi al potente clan.
La guerra tra la Turchia e il Pkk è iniziata nel 1984. Si calcola che da allora le vittime siano state circa 50 mila. Il Pkk, partito curdo dei lavoratori, è un movimento separatista considerato un'organizzazione terroristica da Usa e Unione Europea.