AGI - Il Sudafrica ha portato Israele davanti alla Corte internazionale di giustizia all'Aja con l'accusa di genocidio: l'ultimo atto di un rapporto altalenante e a tratti contraddittorio, passato dalla stretta collaborazione negli anni '70-'80 all'attuale tensione, culminata nella denuncia davanti al tribunale.
La storia delle relazioni tra i due Paesi ha conosciuto fasi alterne: all'epoca della vittoria del partito nazionalista afrikaner nel 1948, la folta comunità ebraica sudafricana, composta principalmente da ebrei scappati dai pogrom nell'800 in Lituania e Lettonia e successivamente dalla furia nazista, ebbe il timore di finire nel mirino di quelli che negli anni precedenti avevano avuto apertamente legami con il Terzo Reich, memori del loro antisemitismo. Solo come esempio John Vorster, futuro primo ministro, durante la Seconda Guerra Mondiale fu internato in un campo di prigionia per le sue simpatie naziste e i suoi legami con le Camicie Grigie. Lo stesso Vorster, tuttavia, divenuto capo del governo, nel 1976 venne invitato con tutti gli onori nello Stato ebraico in nome degli "ideali condivisi da Israele e Sudafrica".
Ma le preoccupazioni degli ebrei negli anni '50 vennero nei fatti sconfessate: nonostante la promulgazione di leggi in stile Norimberga, in qualità di 'bianchi' non ne divennero vittime e nel giro di poco si adeguarono al sistema di apartheid, arrivando a sentirsi a proprio agio, in una comunanza di vedute e obiettivi. Le isolate voci ebraiche contro la segregazione razziale venivano ostracizzate dalla classe dirigente che rifuggiva lo scontro con il governo. Una 'neutralità' portata avanti in nome della sicurezza dell'intera comunità.
Israele, che negli anni '50 e '60 - durante la costruzione di alleanze con i governi africani postcoloniali - era apertamente critico nei confronti dell'apartheid, dopo la guerra dello Yom Kippur nel 1973, che vide la maggior parte delle nazioni africane rompere le relazioni diplomatiche, si avvicinò a Pretoria. A cementare le relazioni c'era la comune visione di essere popoli eletti in una terra data loro da Dio, un baluardo dei valori occidentali circondato da nemici che puntavano alla loro distruzione. Un'impostazione che li portava entrambi a giustificare la dominazione e oppressione di altri popoli.
Culmine di quel processo di avvicinamento fu nel 1976 la visita di Stato in Israele di Vorster, accolto con tutti gli onori. Da quel momento, i vertici della difesa dei due Paesi iniziarono una 'storia d'amorè che diede vita tra l'altro a una proficua collaborazione nell'ambito dell'industria degli armamenti, fino ad arrivare a lavorare segretamente insieme allo sviluppo del nucleare. Gli israeliani erano coinvolti in Angola come consulenti dell'esercito sudafricano mentre in Israele fabbriche producevano munizioni e attrezzature da utilizzare contro i manifestanti neri.
Negli anni '80, mentre proseguiva lo stretto rapporto tra i due Paesi, parallelamente si rafforzava il sostegno dell'Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp) all'African National Congress (Anc), con entrambi che vedevano nelle reciproche lotte echi della propria. Quando Nelson Mandela usci' dal carcere nel 1990, uno dei primi leader che incontrò fu il suo caro amico e confidente Yasser Arafat, che lui chiamava "compagno d'armi".
"La nostra libertà è incompleta senza la libertà dei palestinesi", è una delle frasi più citate dell'uomo-simbolo della lotta all'apartheid che nel 1994 vinse le prime elezioni democratiche nel Paese.
Nell'ultimo decennio, c'è stato uno spostamento politico della leadership sudafricana dell'Anc, schierata sempre più apertamente contro Israele, accusato di "pulizia etnica", "apartheid" e ora di "genocidio". Questo tuttavia non ha impedito agli affari tra i due Paesi di proseguire: nel 2021, l'interscambio è stato valutato in 285 milioni di dollari, un terzo del commercio totale dello Stato ebraico con l'Africa sub-sahariana.
Nonostante le recenti tensioni scaturite dalla guerra a Gaza contro Hamas dopo il massiccio attacco del 7 ottobre, la comunità ebraica in Sudafrica (circa 50 mila persone) sembra più preoccupata dalle generali condizioni del Paese - segnato da difficoltà economiche, forti problemi infrastrutturali ed elevata criminalità - più che dalle posizioni anti-israeliane del governo.
Secondo alcuni esperti, il nuovo corso verso lo Stato ebraico rientra in un più ampio riallineamento ideologico e geopolitico da parte del Sudafrica, che sta approfondendo la sua alleanza con le nazioni in via di sviluppo (Brics in primis, di cui a novembre ha ospitato un summit virtuale proprio sulla guerra a Gaza) a scapito dei suoi legami con l'Occidente. Senza contare le elezioni che ci saranno questa estate.