AGI - Esulta il principe Harry che ha messo a segno la sua prima grande vittoria contro la stampa scandalistica. Il duca ha ottenuto la condanna dell'editore di uno dei tabloid più popolari del Regno Unito, il Daily Mirror, per una serie di articoli nati dall'intercettazione dei suoi messaggi telefonici.
Il giudice ha riconosciuto che i messaggi telefonici del figlio minore di re Carlo III, quando era poco più che un adolescente, vennero spiati e ha anche evidenziato "l'angoscia" e il disagio vissuti dal giovane principe per quello che accadeva "contro di lui e i suoi cari". Harry riceverà un indennizzo di 140.600 sterline, circa 163mila euro.
Il magistrato, Timothy Fancourt, ha scoperto che il telefono personale del figlio cadetto del re, tra il 2003 e il 2009, fu hackerato; e 15 dei 33 articoli scritti in quel periodo su di lui furono il frutto di informazioni ottenute attraverso l'intercettazioni telefonica della sua casella vocale o dei telefoni del suo entourage; oppure informazioni carpite con altri mezzi illeciti, per esempio l'utilizzo di investigatori privati. "Oggi è un grande giorno per la verità", ha detto l'avvocato David Sherborne, leggendo una dichiarazione a nome del principe.
La sentenza, destinata ad avere profonde implicazioni nel panorama dei media britannici, è la prima di una serie di processi intentati dal principe 39enne contro la stampa britannica. Harry - che ha fatto una ragione di vita della sua battaglia contro una stampa che considera invasiva e priva di scrupoli - a giugno si è presentato personalmente in tribunale sul banco dei testimoni: in due giornate di udienze, il duca - quinto nella linea di successione al trono, ma che è in rotta con il resto della Famiglia reale - ha testimoniato per otto ore e raccontato di essere stato preso di mira per anni dai giornali del gruppo Mirror che pubblicavano notizie a raffica sulla sua relazione con Chelsy Davy e più in generale sulla sua vita privata, le sue difficoltà, i suoi scivoloni.
La stampa "ha le mani sporche di sangue", ha detto, e a volte è sembrato sul punto di piangere mentre raccontava come avesse visto sbriciolarsi le sue relazioni, sotto la pressione dei tabloid, come fosse caduto in balia di depressione e paranoia.
È stata la prima apparizione di un membro della famiglia reale sul banco degli imputati in 130 anni, dopo quella del futuro Edoardo VII nel 1891 per un processo per diffamazione; un'uscita che ha fatto scalpore perché il principe attribuisce alla stampa scandalistica la pressione mediatica che ha portato alla morte la madre, Lady Diana, a Parigi nel 1997; e non ha mai fatto mistero di temere conseguenze catastrofiche anche per la moglie Meghan e i figli, Archie e Lilibet.
Adesso ha messo a punto una vittoria, seppur parziale: ma è una giornata importante, perché adesso potrà dire che le sue paure, esposte nel dettaglio nel suo libro autobiografico Spare, non erano frutto di paranoia o vittimismo. Tra l'altro il giudice ha stabilito che i vertici di The Mirror fossero perfettamente informati di quanto accadeva, e tra questi Piers Morgan, superstar della stampa britannica.
Omid Scobie, il 'royal watcher' diventato negli anni il portavoce occulto dei duchi di Sussex, in tribunale ha raccontato che, nel 2002, quando era ancora uno stagista al Daily Mirror, gli capitò di assistere a una conversazione tra lo stesso Morgan e un redattore a proposito di un articolo su Kylie Minogue: Morgan chiese all'interlocutore quanto fosse certo di certe sue affermazioni e quello gli rispose che aveva la registrazione di un messaggio telefonico.
"Mi avevano detto che a uccidere il drago ci si brucia. Ma alla luce della vittoria odierna e dell'importanza di fare ciò che è necessario per una stampa libera e onesta, è un prezzo che vale la pena pagare. La missione continua", ha detto ancora il principe attraverso il suo avvocato. È la riprova che la sua missione continua.