AGI - Si prospetta un vertice "difficile" e "molto lungo" quello di giovedì e venerdì. Non è escluso vada avanti nel weekend, richiamando il Consiglio europeo storico del 2020 - durato quattro giorni - in cui venne battezzato il Recovery fund.
I punti spinosi sul tavolo sono più di uno ma il soggetto è unico: l'Ucraina. I ventisette capi di Stato e di Governo sono chiamati a discutere - e possibilmente approvare - l'avvio dei negoziati di adesione e la revisione del Quadro finanziario pluriennale che prevede lo stanziamento di 50 miliardi di euro per l'assistenza economica a Kiev. Aspetti su cui ventisei dei ventisette al tavolo, a cui tornerà a sedere il polacco Donald Tusk in veste di premier (era presidente del Consiglio europeo), sono d'accordo. Manca uno: l'Ungheria.
Budapest nelle ultime settimane ha detto chiaramente no all'avvio dei negoziati di adesione; no allo stanziamento di nuovi fondi per il bilancio; no ai nuovi aiuti umanitari per 5 miliardi e no a nuove sanzioni. Posizioni che finora sono state confermate e nemmeno chi sta lavorando alla preparazione del summit è in grado di prevederne l'esito. "Verrà deciso tutto nella stanza dai leader. Non sappiamo per quanto tempo andranno avanti i negozi e quando eventualmente si deciderà di chiudere i lavori", ha spiegato un alto funzionario Ue.
"L'unanimità è l'unanimità, serve il voto di tutti, compreso quello dell'Ungheria, e non c'è un piano B", ha evidenziato per quanto riguarda l'allargamento. Sugli altri fronti, quelli economici, una strada potrebbe esserci: decidere a ventisei, sollevando l'Ungheria da ogni impegno politico e soprattutto finanziario.
"Noi abbiamo fatto i nostri compiti a casa, ora l'Unione europea deve fare la propria parte", ha esortato il ministro degli Esteri ucraino, Dmytro Kuleba, al suo arrivo alla riunione dei ministri degli Esteri. Per lui se il vertice di giovedì uscisse senza una decisioni ci sarebbero "conseguenze devastanti non solo per l'Ucraina ma anche per l'allargamento".
Finora il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, il presidente francese, Emmanuel Macron, il premier spagnolo, Pedro Sanchez, presidente di turno del Consiglio Ue, hanno cercato di convincere il premier ungherese, Viktor Orban, della necessità di sostenere l'Ucraina e impedire a Vladimir Putin di vincere la sua guerra di aggressione. L'esito è stato negativo. Orban insiste sulla necessità di togliere dall'agenda della riunione il punto sull'adesione perchè l'esito della discussione dal suo punto di vista è scontato.
Non sembra abbia prodotto risultati nemmeno l'adozione da parte dell'Ucraina della legge per la tutela della minoranza linguistica ungherese. "Abbiamo fatto tre delle quattro leggi che ci erano state chieste per marzo nella raccomandazione della Commissione", ha illustrato Kuleba. Ma non è stato sufficiente per convincere il suo omologo di Budapest, Peter Szijjarto, con cui ha avuto un bilaterale - il primo dall'invasione - di un'ora.
"Un confronto lungo e franco che ovviamente non poteva chiudersi con un sì o un no", l'ha definito il diplomatico ucraino. Dalle reazioni pubbliche di Szijjarto sembra però sia stato più un no. "Non è una questione tattica per noi, è una decisione di importanza storica per l'intero futuro dell'Unione europea", ha detto il capo della diplomazia di Budapest che critica la Commissione europea per la "mancanza di preparazione riguardo al potenziale impatto dell'adesione dell'Ucraina all'Ue".
Diplomatici e funzionari si chiedono che cosa chieda Orban per cambiare idea all'ultimo minuto. Facile pensare allo sblocco dei fondi europei congelati a cause delle carenze nello Stato di diritto. Si tratta di 22 miliardi di euro che non vengono erogati. In settimana però la Commissione dovrebbe sbloccare una prima tranche da 10,5 miliardi di euro. Ma non basta. C'è che vede nella contrarietà di Orban il timore di una nuova Europa, più grande con meno fondi per la Coesione e soprattutto senza più voto di unanimità che toglierebbe il potere di veto agli Stati.
"L'unico modo in cui posso interpretare la posizione ungherese, non solo sull'Ucraina ma su tante altre questioni, è che sono contro l'Europa e tutto ciò per cui l'Europa si batte", ha sentenziato il ministro degli Esteri lituano, Gabrielius Landsbergis.