AGI - Il premier israeliano Benjamin Netanyahu sta combattendo due battaglie: una contro Hamas a Gaza e l'altra per la sua sopravvivenza politica. Dopo il massiccio attacco dei terroristi in Israele del 7 ottobre, costato 1.200 vite di cui gli viene imputata la responsabilità - da lui mai assunta, al contrario dei vertici militari e dell'intelligence - il leader del Likud deve non solo assicurare una qualche forma di vittoria al Paese ma anche riuscire a rimanere in sella.
Ne va non solo del suo prestigio personale e di come verrà ricordato, ma anche del suo immediato futuro: sulla sua testa continua a pendere un processo in corso per corruzione, frode e abuso d'ufficio che la guerra ha solo momentaneamente rinviato. Da quel 'Sabato Nerò come ormai viene chiamato in Israele, il premier ha cercato il più possibile di evitare la folla, consapevole delle inevitabili critiche attese.
Tre dei suoi ministri che hanno provato il contatto con la gente, ne sono rimasti 'scottati': sono stati derisi e presi a male parole, costretti alla ritirata. Se il suo ufficio rilascia note e diffonde foto che lo vedono nella 'war room' al ministero della Difesa a decidere le sorti della campagna militare a Gaza o direttamente tra i soldati nella Striscia, le conferenze stampa sono diventate rare. È ancora vivo il ricordo dell'incontro con i giornalisti alla fine di ottobre quando tra le domande ci fu quella sulle sue possibili dimissioni di fronte al drastico calo di popolarità.
Netanyahu se la cavò con una battuta sulle dimissioni del Movimento islamico come le uniche volute ma di certo l'opinione pubblica non gli sorride, come dimostrano i sondaggi. L'ultimo, pubblicato da Maariv qualche giorno prima che entrasse in vigore la tregua e iniziasse la liberazione di parte degli ostaggi, sostiene che se si votasse oggi in Israele, la coalizione di governo da lui guidata passerebbe da 64 seggi a 41, mentre gli avversari uniti ne raccoglierebbero 79.
Tra questi, ben 43 sarebbero del partito Unità Nazionale di Benny Gantz (rispetto ai 12 attuali), mentre il Likud di Netanyahu crollerebbe da 32 a 18. Quanto al leader più adatto per guidare il Paese, per gli intervistati l'ex capo di Stato maggiore batterebbe l'attuale capo di governo 52% a 27%. Il premier si concentra quindi sulla guerra, i negoziati per la liberazione degli ostaggi e l'economia, cercando al contempo di tenere a bada i partner ultranazionalisti della coalizione, assecondandoli ma senza eccedere, in un delicato gioco di equilibrismo.
I leader dell'estrema destra Bezalel Smotrich e Itamar Ben-Gvir non perdono occasione per pungolarlo e cercare di guadagnare terreno, elettorale e non, facendo alzare nel frattempo la tensione in Cisgiordania, dove i coloni spadroneggiano più di prima, suscitando la preoccupazione non solo della comunità internazionale ma anche dei vertici della sicurezza, che temono l'apertura di un nuovo fronte incontrollabile. La presenza di Gantz nel gabinetto di guerra, nel quale è temporaneamente entrato dopo l'avvio della guerra per aiutare ad affrontare la crisi, è un baluardo di stabilità sulle decisioni militari.
Ma niente può sulla linea politica: è stato evidente in occasione della votazione del nuovo bilancio, aggiornato alla luce delle necessità finanziarie per lo sforzo bellico del Paese. Insieme ai circa 26 miliardi di shekel reindirizzati a favore delle spese della difesa e a sostegno dei civili, l'esecutivo ha sbloccato anche centinaia di milioni di shekel di fondi discrezionali per i partiti della coalizione, destinati principalmente al sistema educativo ultraortodosso e ai coloni in Cisgiordania.
Nonostante il voto contrario di Gantz e dei suoi ministri e le proteste dei manifestanti che hanno bloccato l'ingresso del ministero delle Finanze, guidato da Smotrich, il budget è stato approvato e si avvia verso la votazione alla Knesset. Ma non basta: contrario a qualsiasi negoziato con Hamas - un paio di settimane fa Ben-Gvir ha avanzato la proposta di decretare la pena di morte per i terroristi di Hamas responsabili dei sequestri, portando a un duro scontro in aula con i familiari degli ostaggi che temevano per la vita dei loro cari - il leader di Otzma Yehudit ieri ha minacciato l'uscita dal governo e la fine dell'esecutivo se verrà fermata la guerra con Hamas.
Dichiarazioni fatte per galvanizzare gli elettori, ma che complicano la battaglia di Netanyahu per la sua sopravvivenza politica. Sulla sua permanenza al potere, una volta finita la guerra, le scommesse sono aperte: la sua situazione sembra disperata ma in tanti gli riconoscono un'abilità e un'astuzia politica fuori dal comune. E il fatto è che potrebbe non esserci nessuno pronto a prendere il suo posto. La carta delle elezioni non piace a tutti, tuttavia l'idea di un governo ampio, guidato sempre dal Likud ma senza Netanyahu, suggerita dal leader dell'opposizione Yair Lapid due settimane fa, è caduta nel vuoto.