AGI - A un mese dall'attacco sferrato da Hamas contro Israele nel kibbutz di Kfar Aza, regnano silenzio, dolore e distruzione, rotti solo dal cinguettio di alcuni uccelli e dai ritmati colpi di cannone dell'artiglieria israeliana contro la vicina Striscia di Gaza. Il 7 ottobre più di 100 abitanti di questa comunità, situata a circa tre chilometri da Gaza, sono stati uccisi dai miliziani di Hamas.
Nella zona più colpita di Kfar Aza, conosciuta per essere "il quartiere dei giovani", le famiglie vivevano in piccole case con una sola camera da letto. Qui l'inizio della fine è coincisa con le prime ore del mattino di un giorno di festa, Shabat, l'ultimo giorno delle festività di Sukot, quando qualcuno che alle 6,30 era già sveglio ha visto l'inferno arrivare dal cielo. I parapendii a motore hanno avuto tutto il tempo di avvicinarsi senza che nessuno capisse di cosa si trattasse, ma ci sono state le esplosioni.
Contemporaneamente gli uomini d Hamas, dopo aver sfondato il muro di cinta, hanno percorso su pickup e motociclette i tremila metri che separano la Striscia di Gaza da Kfar Aza e hanno aperto la barriera di sicurezza perimetrale in tre punti, uno dei quali a una cinquantina metri dal 'quartiere dei giovani'.
Oggi il varco aperto quel giorno nella recinzione è stato chiuso di filo spinato e davanti a esso staziona un manipolo di soldati armati di mitragliatore e riparati dietro un muro per impedire una possibile nuova incursione.
Molto vicino si possono ancora vedere auto e motociclette distrutte, alcune utilizzate dagli assalitori. Le piccole case sono distrutte, alcune ridotte in cenere, altre con ancora ben visibili le tracce del massacro.
All'interno, a terra, gli effetti personali di chi qui viveva e che ora è morto o è ostaggio di Hamas.
Una decina di metri più in là, su un falsopiano, una casa appare intatta, con le persiane abbassate e le porte chiuse. Qui gli uomini di Hamas non sono riusciti a entrare. Shahar, studente 25enne, quella mattina era al kibbutz per far visita ai suoi genitori in coincidenza con le festività ebraiche.
Racconta che le esplosioni lo hanno svegliato e che si è nascosto con il padre e la madre al riparo della loro casa, da dove hanno sentito i miliziani tentare, senza successo, di aprire la porta.
"È molto difficile ricordarlo, tornare qui, vedere tutto distrutto", ricorda Shahar all'agenzia EFE, gli occhi rossi di pianto. È la prima volta che torna al kibbutz dal 7 ottobre, per raccogliere da casa quello che serve e portarlo ai suoi genitori, che sono stati evacuati in una città nel centro di Israele.
Racconta si essersi sentito "come se fosse il giorno dell'Olocausto", ma, assicura, "non ho alcun desiderio di vendetta".