AGI - Uno Stato binazionale che veda arabi ed ebrei vivere insieme, fianco a fianco: un'idea poco realistica in questo momento - alla luce del conflitto in corso, cui si sommano leadership inadeguate e odii esacerbati - ma è l'unica che permette di immaginare un possibile futuro, per quanto lontanissimo. A formularla, parlando con l'AGI, è Manlio Graziano, esperto di geopolitica, insegna a Sciences Po e alla Sorbona di Parigi. Al suo attivo ha numerose opere, tra cui un libro in uscita nei prossimi mesi presso Mondadori, dal titolo 'Disordine mondiale. Perché viviamo in un'epoca di crescente caos politico'.
Come vede la situazione nella regione, con la possibilità dell'apertura di altri fronti? Che idea si è fatto del teatro di guerra e delle forze in campo?
"L'evoluzione è molto rapida e i fattori in gioco cambiano molto velocemente. Però se si guarda al quadro più generale, quello che mi sembra sia successo è che si è arrivati a un punto di suppurazione di una condizione che non poteva andare avanti ancora per molto. Hamas ha scatenato questa offensiva, ma per quale scopo? Quel movimento non ha una linea politica, al di fuori di parole d'ordine irrealizzabili, come la distruzione dello Stato d'Israele; però rimane attaccato al potere grazie a quel mito.
Ma il suo 'programma' ufficiale è irrealizzabile. Ora, qualunque forza politica deve prima o poi dare qualche risultato; e se i risultati non arrivano, deve recuperare credibilità in qualche modo: questa è stata la molla interna per l'attacco del 7 ottobre. Inoltre, proprio perché Hamas non ha una visione politica, è facilmente eterodiretto. Tutti hanno puntato il dito contro l'Iran naturalmente, ed è certamente vero in generale che la Repubblica islamica è il suo grande sponsor. Secondo me, però, è dubbio che i dirigenti di Teheran abbia organizzato l'attacco.
Penso che ne siano fondamentalmente soddisfatti, perché hanno assoluto bisogno di mostrare i denti nei confronti di Israele e degli Stati Uniti per garantirsi l'appoggio dei sostenitori interni del regime. E soprattutto perché vogliono impedire ad ogni costo un'intesa ufficiale tra Israele e Arabia Saudita. Ma l'antisionismo e l'antiamericanismo sono la loro legittimazione. Molto diverso è il rapporto con la popolazione che è sicuramente la meno ostile a Israele di tutte quelle della regione, come è stato provato a più riprese.
Però l'Iran non ha la forza di ingaggiarsi in un conflitto: se fa il passo più lungo della gamba, il regime viene travolto perché la situazione interna è quella che è, c'è stata una rivolta lo scorso anno che cova ancora sotto le ceneri e l'economia è prostrata". "Hamas - continua Graziano - ha puntato deliberatamente sulla reazione di Israele, quella dei bombardamenti indiscriminati su Gaza cui assistiamo in questi giorni, perché sa che ogni volta che questo succede, si solleva nel mondo un'ondata di simpatie per i palestinesi, e perfino per Hamas stesso. Quindi loro sono pronti a sacrificare 5-10 mila abitanti della Striscia pur di guadagnare un po' di credibilità.
E in effetti, è quel che sta succedendo. Anche nei Territori Occupati è chiaro che Hamas è adesso molto più popolare dell'Autorità nazionale palestinese. Loro vogliono scalzare l'Anp e cercare di mantenere il potere il più possibile. D'altronde lo stesso Netanyahu ha affermato in passato di avere lo stesso obiettivo. Insomma, Hamas ha teso la trappola e Israele ci è cascato e si è infilato in un vicolo cieco: l'attacco è stato organizzato con lo scopo di provocare la sua reazione, e questa c'è stata.
E ora è lo Stato ebraico che rischia di perdere di più: perdere molta della simpatia che ha immediatamente riscosso dopo l'attacco del 7 ottobre, perdere credibilità internazionale e anche presso i propri cittadini. Le autorità israeliane continuano a dire che andranno avanti e distruggeranno Hamas; il problema è che non ci riusciranno. Anche quello è un obiettivo impossibile, come distruggere Israele per i palestinesi. Sono tutti proclami grandiloquenti che però portano necessariamente a catastrofi politiche. Perché se Israele perde credibilità e simpatie, a guadagnarne sono i nemici di Israele (ma non certo i palestinesi)".
Quindi non ci possono essere vincitori? Non è possibile immaginare uno scenario diverso?
"Con gli attori politici che ci sono adesso nella regione non ci può essere alcuna vittoria. Con la loro determinazione a sbandierare e perseguire obiettivi che sono di per sè irrealizzabili, non possono che portare alla sconfitta di tutti, è inevitabile. Paradossalmente ci potrebbe essere una 'vittoriucola' di Hamas, se continuano i bombardamenti indiscriminati su Gaza, e ancor più se c'è la tanto proclamata invasione di terra.
Ma non sarà, ripeto, una vittoria per i palestinesi, che hanno sempre pagato per gli interessi degli altri, a cominciare dal 1948: da allora, tutti i paesi arabi, e perfino non arabi, come l'Iran e, a un certo momento, la Turchia di Erdogan, li hanno usati come carne da cannone per i loro scopi, tanto meschini quanto inconcludenti. Però Hamas quasi certamente continuerà a esistere e magari anche a godere un po' più di credibilità tra la popolazione palestinese.
Sicuramente, aver procrastinato l'accordo tra Israele e Arabia Saudita è un risultato che hanno incassato. Per ora. Perché i rapporti tra Israele e Arabia Saudita sono di vecchia data quindi torneranno a galla, necessariamente. Però non è detto che non esistano alternative alla situazione attuale. Solo, gli attori oggi in campo non vogliono sentirle. Hanno costruito il loro capitale politico su miti di forte presa, benche' irrealizzabili, e chi propone alternative è visto come traditore".
Quali possono essere queste alternative? Le posizioni nella regione sono molto radicalizzate: Hamas certamente, ma anche lo stesso governo di estrema destra di Benjamin Netanyahu nell'ultimo anno ha promosso politiche profondamente divisive.
"Quello che manca sono proprio attori politici che sappiano fare politica e non fare a gara a chi le spara più grosse. Chi osa sostenere soluzioni politiche serie, in Israele viene marginalizzato, nei Paesi arabi messo in prigione o ucciso. Sono convinto che i personaggi che sono nel governo di Netanyahu sono impresentabili, privi non solo del senso dello Stato, ma anche di qualunque serietà, xenofobi e razzisti. Però c'è un merito in questo esecutivo: quello di aver detto e fatto esplicitamente quello che tutti gli altri governi dal 1967 ad oggi hanno fatto senza osare dirlo, o senza dirlo troppo forte.
Dicono esplicitamente, 'noi controlliamo la Cisgiordania come se fosse casa nostra, agli arabi che ci vivono non daremo mai la cittadinanza, continuiamo a espandere le colonie, non ci sarà la soluzione dei due Stati'. C'è un aspetto però sul quale mi sento un po' ottimista in una situazione in cui essere ottimisti è molto difficile. Non c'è nessuno, finora, nemmeno l'Iran, che voglia avvelenare la situazione. La Turchia non ne ha interesse, né ce l'ha l'Arabia Saudita e neanche il Qatar, che ha permesso di fare uscire una manciata di ostaggi dalla Striscia.
Non vedo chi potrebbe avvantaggiarsi in questo momento. Hezbollah fa quello che vuole l'Iran e l'ordine partito da Teheran sembra essere di punzecchiare Israele senza aprire veramente un secondo fronte. Il sedicente 'Partito di Dio' è il termometro dell'atteggiamento dell'Iran: se non attacca apertamente, significa che Teheran non ha intenzione di intervenire. Certo, l'Iran potrebbe avvantaggiarsi fingendo di essere rimasto il solo paese a difendere la cosiddetta 'causa palestinese'; ma, come ho detto, se si avventurasse troppo in là, rischierebbe di finire bruciato.
Comunque, direi prudentemente che non temo un allargamento del conflitto, neanche nella regione, perché non vedo nessuno interessato a, o capace di, approfittarne più di tanto. Sul piano internazionale, gli americani vogliono abbassare la tensione, e i cinesi vogliono la stessa cosa: quindi, il rischio di un'estensione del conflitto diminuisce notevolmente. Questa, d'altronde, è tipicamente una regione in cui le grandi potenze sono sempre intervenute a regolare l'intensità della fiammella: oggi, Biden è andato a (cercare) di far intendere ragione agli israeliani, Xi Jinping potrebbe (cercare) di fare lo stesso con gli iraniani. Fermo restando che in politica l'irrazionalità è sempre in agguato, e tutto può succedere".
"Quanto alle possibili soluzioni, si passa dalla realtà al mondo dei sogni: nella situazione attuale non ci sono soluzioni a portata di mano. Tuttavia, un'ipotesi di cui qualcuno parla sommessamente sarebbe quella di dare un calcio definitivo alla pericolosa fantasia dei due Stati e puntare a uno 'Stato binazionale' in cui arabi ed ebrei vivano insieme su una base egualitaria, di fatto e di diritto.
È, ovviamente, una soluzione lontanissima e certamente impraticabile al momento attuale, ma razionalmente mi sembra la sola in grado di affrontare seriamente la questione israelo-palestinese", sottolinea Graziano. "La soluzione dei due Stati, invece, non è una soluzione: oltre che impraticabile (e infatti, è stata inventata trent'anni fa e mai attuata) è anche la più pericolosa, benché continui a essere presentata come 'la' soluzione da quasi tutti.
Se ci fosse la divisione in due Stati, la situazione non potrebbe che peggiorare perché produrrebbe inevitabilmente pogrom, massacri e spostamenti forzati di popolazioni, come successe con la partizione dell'India nel 1947, con il risultato di creare anche nel Vicino Oriente due Paesi con una frontiera comune che si odiano e possono attaccarsi in continuazione, come, appunto, l'India e il Pakistan fanno da più di settant'anni.
In ogni caso, né gli israeliani né i palestinesi vogliono veramente i due Stati: penso che in realtà nessuno ci creda o ci abbia mai creduto, nemmeno tra gli attori internazionali. Ma quell'idea ha tutta l'apparenza di una map road che renda giustizia agli uni e agli altri, salomonicamente, e quindi, in mancanza di vere map road, tutti continuano a sostenerla a parole. Significa, di fatto, voler mantenere lo status quo, perché tanto non si può fare diversamente. Solo che, adesso, lo status quo è andato in frantumi".
Quali sarebbero i punti di forza dello Stato binazionale?
"Avrebbe senso soprattutto per i palestinesi, anche se i loro leader ne sono assolutamente ostili, perché sarebbe la fine di tutta la loro mitologia politica. Israele si definisce l'unico Stato democratico della regione; tuttavia, non può esistere uno Stato che sia ebraico e democratico allo stesso tempo. Che si fa se la maggioranza non è più ebraica? Sia chiaro: lo stesso vale per uno Stato che si definisca musulmano e democratico o cristiano e democratico. Proporre uno Stato binazionale, significa mettere la presunta democrazia di Israele alla prova.
Uno Stato binazionale con Gerusalemme capitale, in cui si eliminano tutte le connotazioni etniche e religiose, con arabi ed ebrei che vivono insieme, potrebbe essere un viatico per ristabilire, col tempo, forse, la convivenza che esisteva prima della decisione britannica di aizzare gli arabi contro gli ebrei in Palestina dopo la loro occupazione nel 1918. Dal canto loro, gli israeliani hanno fondato uno Stato in cui gli ebrei potessero vivere in pace senza essere perseguitati; andando avanti si stanno rendendo conto che questo progetto non è più realista. La prova è l'aggressione del 7 ottobre. Non esiste la possibilità di vivere in una sorta di giardino dell'Eden protetto dai mali del mondo.
Uno Stato binazionale resta un'ipotesi molto lontana e molto poco realista nella situazione attuale: bisognerebbe innanzitutto eliminare le classi dirigenti oggi al potere, quella israeliana e quella palestinese, e bisognerebbe sanare ferite profonde e odi plurigenerazionali. Ma se ci sono riusciti i francesi e i tedeschi, non c'è ragione di credere che non ci possano riuscire anche arabi e israeliani.