AGI - Shira aveva 23 anni, una cascata di ricci castani e due bellissimi occhi scuri. Era appena tornata dall'India, si preparava ad andare all'università. Il 7 ottobre era al festival musicale di Re'im quando gli uomini di Hamas hanno fatto irruzione sparando sulla folla di giovani che ballavano. Per giorni la famiglia non ha saputo più nulla di lei.
Fino a quando è arrivata la notizia che non era stata rapita e portata nella Striscia di Gaza: il suo corpo era stato trovato nella foresta, accanto a quello della sua migliore amica. A raccontarlo all'AGI è sua sorella maggiore, la 29enne Adar Eylon, a Roma insieme a una delegazione di familiari degli israeliani uccisi e di quelli tenuti ostaggio nell'enclave palestinese dal Movimento islamico, per raccogliere sostegno internazionale e fare pressioni affinché vengano liberati.
D: Cosa è successo il 7 ottobre e come avete saputo della morte di Shira?
R: "Quando c'è stato l'attacco mia sorella è scomparsa, non si trovava. Per cinque giorni non abbiamo avuto notizie, ma il primo giorno siamo stati in grado di localizzare il suo telefono, era a Gaza. E mia madre pregava che non fosse stata rapita da Hamas.
Quando finalmente abbiamo saputo che il suo corpo era stato trovato, nella foresta, vicino ad altri 200 corpi, molto dei quali bruciati, irriconoscibili, lei si è sentita in qualche modo sollevata perché essere rapiti da Hamas è un destino peggiore della morte. I terroristi si sono fatti un sacco di video e li hanno caricati su TikTok e Telegram, ironizzandoci.
Per giorni li ho guardati per cercare di vedere se tra i sequestrati c'era Shira. Sfortunatamente o forse no, non l'ho vista. Ma ho visto tanti video: rapivano vecchi, bambini, donne incinte e una con in braccio due neonati. Donne violentate, corpi abusati o bruciati, fatti esplodere con granate, teste tagliate. Quando abbiamo visto tutto questo, ci siamo detti che non volevamo che Shira dovesse mai vivere una cosa del genere: spaventata, chiusa al buio in un rifugio, abusata, senza sapere se ne sarebbe mai uscita.
Mi sento malissimo per i familiari degli ostaggi ma provo anche dell'invidia per loro che hanno una qualche speranza che un giorno i loro cari torneranno. È per questo che siamo qui, lottare perché vengano rilasciati. Quando vinceremo questa guerra e avremo riportato a casa tutti i civili, Shira non tornerà mai. E devo vivere con questo per tutta la vita.
Mia madre sta combattendo il cancro da dieci anni e da quando l'ha saputo non si è più alzata dal letto. Noi non ci siamo mossi da casa per due settimane, prima che io venissi qui a Roma. Abbiamo sempre avuto molte guerre, è sempre difficile e ho perso amici in questi anni, e a un certo punto ci si abitua e si vive. Ma questa volta è diverso: ho sempre questo pensiero che quando tutto sarà finito, lei tornerà da noi. E poi mi ricordo che lei non tornerà e mi si spezza il cuore, di nuovo".
"Al suo funerale - racconta Adar - le ho promesso che avrei raccontato la sua storia, così che la sua storia possa 'vivere', perché se ci dimentichiamo le cose terribili, terribili che le hanno fatto, è come se la sua morte fosse stata invano. Voglio che la gente la senta e sappia che non accetteremo alcun terrorismo d'ora in poi. E voglio che il mondo capisca che non possiamo fare la pace con i terroristi.
Anche vedere la gente che protesta contro di noi, dopo che abbiamo perso 1.400 persone... erano civili, non erano soldati, non erano in guerra. Erano civili che stavano a un festival di pace e amore, e li hanno uccisi. Hanno ucciso Shira sparandole alla schiena accanto alla sua migliore amica. Quando vedo la gente manifestare contro di noi è come se anche loro la stessero uccidendo perché stanno dicendo che la sua vita non valeva, che non abbiamo il diritto di difenderci dai terroristi.
Non resterò più in silenzio, voglio gridare: 'Svegliatevi, guardate cosa ci hanno fatto, alla mia famiglia, al mio Paese. E quando avranno finito con noi, passeranno al resto del mondo occidentale'. Perché è una questione che non riguarda la terra, ma la religione".
D: Cosa si aspetta dal suo governo, e dalla comunità internazionale, per la liberazione degli ostaggi?
R: "Sono due cose separate. Mi aspetto che il resto del mondo che faccio tutto quello che possa, faccia pressoni su Hamas perché rilasci gli ostaggi. Sono civili, non fanno parte di questa guerra, non meritano di essere lì. Non ci sono solo israeliani, ci sono anche europei, americani... Quindi ritengo che sia una responsabilità del mondo che vengano rilasciati.
E dal mio governo mi aspetto che metta fine ad Hamas. Se in pochi mesi ci dimentichiamo di quanto avvenuto e loro ricominciano a rapirci di nuovo, a sparare missili sopra la nostra testa e fare altri attacchi terroristici nel mezzo di Tel Aviv, come hanno già fatto, allora sarà stato invano. Quindi mi aspetto che alla fine, dopo 75 anni, trovino una soluzione, perché questo non è più un modo di vivere".
D: Quale è uno dei ricordi più forti che ha con sua sorella?
R: "Shira era appena tornata dall'India, aveva fatto lezioni di yoga, aveva questa anima libera, molto dolce. E mi aveva pregato di andare con lei. Io viaggio tanto e questa volta mi aveva detto, 'voglio essere come te, voglio viaggiare, essere libera, divertirmi e voglio che tu venga con me'. E purtroppo non sono potuta andare perché dovevo lavorare.
Ma le avevo promesso, 'la prossima estate, andiamo insieme. La tua prima volta in India voglio che vai con i tuoi amici, che ti diverti, non hai bisogno della tua sorella maggiore lì con te. Ma ti prometto che andremo insieme'. E continuo a pensare... 'non riesco a crederci che la mia sorellina mi voleva con lei in un viaggio così importante e io non sono andata'. E adesso non lo potrò più fare".