AGI - "È ancora enorme lo sgomento e l'incredulità su come si sia potuta verificare una situazione del genere. Alcuni accusano di inefficienza le agenzie di intelligence israeliane, puntando il dito, ad esempio, sul massivo utilizzo delle tecnologie per la conduzione di attività di spionaggio piuttosto che sulla presenza di infiltrati sul campo. Non sono d'accordo con questa semplicistica spiegazione". Lo afferma in una intervista all'AGI il professor Antonio Teti, docente di Cyber Security, IT Governance e Big Data all'Università G. D'Annunzio di Chieti-Pescara, e di Previsione del crimine e analisi strategica nel mondo virtuale al Corso di Analisi Criminale di II livello della Scuola di Perfezionamento per le Forze di Polizia.
Secondo Teti, "il Mossad, lo Shin Bet e l'Aman sono oltremodo strutturate per condurre operazioni di spionaggio e controspionaggio avvalendosi di tecniche e metodologie di vario genere, e lo fanno da decenni utilizzando soprattutto infiltrati sul campo".
Da cosa dipenderebbe, allora, la cecità dell'intelligence israeliana?
Ciò che può fornire un'indicazione su tale débacle è la portata del condizionamento politico sulle azioni e i target identificati dalle rispettive agenzie di intelligence. Probabilmente, anche questa è una testimonianza della crisi profonda che sta attraversando il governo di Tel Aviv. Per Benjamin Netanyahu e per i membri della sua coalizione di estrema destra sarà una vera impresa evitare le responsabilità per quanto accaduto.
Un errore di sottovalutazione? Un conflitto politico?
È stata probabilmente l'arroganza mostrata dal governo di Netanyahu a ritenere di non dovere prestare attenzione più di tanto, soprattutto negli ultimi anni, al problema crescente di Gaza e degli insediamenti israeliani e che la condizione dei palestinesi in quel contesto geografico era diventata insostenibile. Pensavano che fosse tutto sotto controllo. Parliamo della stessa arroganza che portò Tel Aviv a credere, nel 1973, di essere imbattibile e di non dover prestare più di tanto l'attenzione alle agitazioni dell'Egitto e della Siria. Sappiamo poi come andò a finire: gli egiziani e i siriani riuscirono a cogliere di sorpresa l'esercito israeliano, attraversando il Canale di Suez, fino ad avanzare sulle alture di Golan, al punto tale che molti ipotizzarono la sconfitta definitiva di Israele. Purtuttavia sono convinto che gli israeliani, quando si saranno calmate le acque, analizzeranno, con la consueta e tradizionale efficienza e determinazione che li contraddistingue, ogni singolo fatto, evento o documento che possa identificare chi ha la responsabilità dell'accaduto e per costoro sarà difficile sottrarsi al giudizio del popolo.
Ci sarà o non ci sarà, ci sarà se e quando l'offensiva di terra israeliana?
Sul piano della reazione agli attacchi subiti, Tel Aviv reagisce secondo uno schema consolidato, chiaro e diretto. Mobilita l'esercito, attacca dal cielo e cerca di infliggere il maggior numero di danni al nemico. L'idea è quella di decapitare la leadership di Hamas. Se questo non funzionerà e se Hamas non cesserà di lanciare razzi e si rifiuterà soprattutto di negoziare il rilascio degli ostaggi, gli israeliani condurranno quasi sicuramente un'invasione su vasta scala a Gaza. Ciò produrrebbe una reazione in tutto il Medio Oriente e persino il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman si troverebbe in una forte condizione di impaccio nel tentare di percorrere ancora un'azione finalizzata alla mediazione e alla pacificazione.
È sostenibile un conflitto lungo per Israele?
Anche per Tel Aviv un conflitto prolungato assumerebbe la connotazione di un incubo. Innanzitutto si tratterebbe di una guerra condotta in aree densamente popolate, senza considerare la protesta internazionale che susciterebbe una produzione incessante di vittime civili. Secondo, il problema della fornitura delle armi da parte degli Stati Uniti, elemento che produrrebbe un odio negli confronti degli americani da parte del mondo arabo. Terzo, l'ipotesi di un conflitto su più fronti: Israele non riuscirebbe mai a reggere un impatto di tale portata. Probabilmente Netanyahu userà l'aviazione per cercare di colpire Hamas in maniera profonda, affinché si convinca ad accettare un cessate il fuoco e la negoziazione degli ostaggi. In altre parole un ritorno alla situazione precedente o, nella peggiore delle ipotesi, a nuove concessioni territoriali per i palestinesi. Il tutto grazie soprattutto alla mediazione condotta dagli Stati Uniti, Giordania, Egitto, Emirati Arabi e Qatar, ovvero i paesi che più di tutti sono intenzionati a ottenere un cessate il fuoco, e a calmare le già tanto agitate acque nello scacchiere mediorientale. Se ciò non accadrà, sarà certamente Hezbollah ad approfittarne e ad alzare il tiro unendosi alla mischia in misura maggiore. Secondo alcune stime avrebbe disponibilità di oltre 150.000 razzi da riversare su Israele e ciò allargherebbe definitivamente il conflitto al Libano.
La Casa Bianca non ha trovato ancora evidenze di un maggior coinvolgimento iraniano. Ma è inevitabile che un ruolo Teheran lo abbia svolto, e lo svolga.
Anche se Hamas non segue pedissequamente i dettami di Teheran, persegue con esso un interesse comune, quello di interrompere il processo di normalizzazione dei rapporti tra Israele e i leader dei paesi arabi, creando altresì una condizione di imbarazzo da parte degli stessi sul piano della collocazione politica e militare nel conflitto.
Secondo Teti, "appare oltremodo certo il coinvolgimento dell'Iran nell'operazione condotta da Hamas, come testimoniato, ad esempio, dall'utilizzo massivo nei recenti attacchi di ordigni di tipo explosively shaped penetrators (Efp) di fabbricazione iraniana, da parte di Hamas sin dal 2007. E non va escluso il coinvolgimento di altri paesi nella causa perseguita dall'organizzazione terroristica palestinese. L'Afghanistan ha attribuito ogni responsabilità a Israele per la recente escalation di violenza, con il governo talebano afghano che ha confermato il massimo sostegno agli sforzi palestinesi. Come se non bastasse - prosegue Teti - si presume che persino alcune forniture di armi americane provenienti dal ritiro degli Stati Uniti dall'Afghanistan nel 2021 siano arrivate in Palestina e abbiano equipaggiato le Brigate Al-Qassam. Proprio a giugno 2023 erano già emersi alcuni rapporti che concludevano che queste armi statunitensi avevano raggiunto Gaza. A tal proposito non bisogna dimenticare il potere esercitato nel governo di Kabul da Sirajuddin Haqqani, potentissimo ministro dell'Interno dell'Afghanistan e capo della fazione dei pashtun dell'est e strettamente legato ad al-Qaeda".
C'è anche un riflesso, rivelato da alcune reazioni, in Pakistan.
Indicativa l'affermazione fatta da Muhammad Safdar Awan, ex ufficiale dell'esercito pakistano, nonché genero dell'ex primo ministro pakistano Nawaz Sharif, il quale, intervenendo a una manifestazione pro-Palestina a Peshawar e riferendosi al conflitto in corso a Gaza ha asserito: 'La bomba atomica del Pakistan non è solo per questo Paese ma per tutti i musulmani', incitando la folla presente a 'prepararsi per la Jihad'. Anche la Siria potrebbe unirsi al conflitto se consideriamo che nei giorni scorsi Israele ha risposto con colpi di artiglieria al fuoco proveniente dal territorio siriano e indirizzato verso le comunità di Avnei Eitan e Alma. A ridosso del confine tra Libano e Israele si sta consumando un'altra battaglia. La notte scorsa gli israeliani hanno bombardato postazioni di Hezbollah nel Sud del Libano in risposta a una sequenza di attacchi che il gruppo libanese aveva indirizzato precedentemente contro i soldati israeliani. Secondo l'ex capo dell'intelligence dell'Idf, Tamir Tayman, Hezbollah starebbe conducendo attacchi contro Israele per ridurre la pressione delle forze armate israeliane su Hamas.